IL PANNO TUSCIANO… prezioso e irresistibile panno di casa

Imparare ad imparare con un filo  – Laboratorio del racconto 2017

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La storia del rotolo di panno si lega strettamente a quella della coltivazione della canapa molto diffusa nel nostro territorio, specialmente nei paesi intorno al lago di Bolsena. Ci è noto che già al tempo dei Farnese coltivare la canapa era uso frequente nel Ducato di Castro. Produrre il panno, era così importante nell’economia familiare di sussistenza di un tempo che un pezzo di terreno era tenuto sempre a disposizione per la coltura della canapa o del lino. In genere ogni famiglia, per soddisfare il propria fabbisogna, produceva da sei a dieci fasci di canne (canapa) da cui si potevano ricavare almeno una coppia di lenzuola, una tovaglia, un paia di vestiti alcuni sacchi e un paia di bisacce.

 B. Pacelli, Il Canaparo

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Donne & Comunità.  Quando i panni si tessevano  e si ricamavano in famiglia…

Con gli amici di Geapolis vogliamo condividere gli aspetti più inediti ed intimi della vita delle donne che hanno contributo a “tessere la trama” di quel quotidiano che oggi si fa testimonianza viva  della storia del territorio locale.

L’équipe di Geapolis ringrazia Maria Bernardina Brizi (detta Dina) e la nipote Maria Giuseppa Brizi che nei mesi scorsi hanno collaborato con noi.

Dina Brizi vive a Piansano (VT), dove  è nata 93 anni fa.  

Con sensibilità e generosità, ci ha accompagnato, passo dopo passo, in un viaggio affascinante che ci ha permesso di di toccare, guardare, annusare il panno tusciano, per scoprirne segreti e la  storia.

Un contributo prezioso quello di Dina  e Maria Giuseppa, che ci restituisce le risonanze di un mondo intimo e  familiare che ancora oggi affascina e seduce.. oltre a permetterci di  rievocare un modello di comunità e di economia familiare ormai scomparso da tempo. 

(intervista realizzata nel gennaio 2017)

da destra, Maria Bernardina Brizi (detta Dina) e la nipote Maria Giuseppa Brizi

Oggi, le vecchie tele di Panno Tusciano, dimenticate per tanto tempo negli armadi di casa sono diventate preziose proprio perché rare e, utilizzate nell’arredamento per animare le no­stre case moderne senza forzature, ma con una insospettata armonia.

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In alto: tovaglia ricamata nel 2012 da Maria Giuseppa Brizi su panno tusciano raffinato. Ricamo realizzato utilizzando il punto Palestrina e il punto erba.

TESSUTI & RICAMI CHE RACCONTANO E TRAMANDANO…

Nel gennaio scorso, ancora nel pieno delle festività natalizie, Dina ci ha accolto nella sua casa con un “torsello in mano“, un grosso rotolo di tessuto legato con un filo di refe, per farci toccare subito con mano e osservare da vicino l’oggetto del nostro discorso..   

“Torselli” così venivano chiamati, in molti centri dell’Alta Tuscia, con termine dialettale di derivazione latina (torquere = pressare, torcere, arrotolare strettamente), i rotoli di panno del corredo della sposa; tele a trama semplice oppure a righe, a scacchi, a spinato, a “occhio di pulcino”; antichi tessuti forti e resistenti, più o meno rustici, eseguiti manualmente dagli antichi telai; oggi sono ingialliti dal tempo ma hanno sicuramente un indiscutibile fascino. Torselli erano chiamati anche i preziosi rotoli di tela che un tempo giungevano in Occidente dalla lontanissima Ci­na, attraverso la vita detta appunto “della seta”. Queste vecchie tele, oggi perle di memoria, erano considerate così preziose da venire quantificate negli atti notarili di nozze; erano la dote, l’orgoglio di ogni famiglia che poteva andare fiera del piccolo capitale costruito dalle mani abili delle tessitrici; venivano riposti nella cassapanca della biancheria per essere ammirati da parenti e amici nel giorno delle nozze. 

Piansano (VT), gennaio 2017 ospiti di Dina Brizi tra panni preziosi, pizzi e ricami… Nella foto un torsello originale in canapa e cotone tessuto a telaio 

Le iniziale ricamate negli asciugamani in lino di  Dina Brizi e della sorella Girolama 

Nelle case dei “ricchi”, spesso il corredo dotale era tenuto in mostra prima delle nozze per ben dieci giorni in una stanza svuotata appositamente per l’occasione, a significare il senso di appartenenza e di opulenza della famiglia da cui proveniva la sposa.

La qualità e la quantità delle tele dipendeva dalla disponibilità delle famiglie stesse; chi poteva utilizzava il più costoso cotone almeno per l’ordito, da tramare poi con la canapa o con il lino. Era costoso e importante il corredo di una volta, più dell’abito da sposa!  

La quantità dei capi che costituivano il corredo era variabile a seconda delle possibilità finanziarie delle famiglie: si andava da un minimo di sei (sei coppie di lenzuola, sei asciugamani, sei tovaglie sei panni di cucina), fino ad un massimo di ventiquattro per le spose più abbienti.

Spesso su asciugamani e lenzuola venivano ricamate le iniziali della sposa e i capi più pregiati venivano rifiniti con l’orlo a giorno, ma si usavano esclusivamente nelle occasioni importanti (Battesimo, Cresima, Comunione, Nozze) o nelle “feste ricordatore” (Natale, Pasqua, festa del Santo Patrono) allorché le famiglie al completo si riunivano intorno alla tavola.

Con i tessuti prodotti dal telaio si confezionava di tutto: biancheria personale sia per l’uomo che per la donna o quanto potesse servire per l’uso della famiglia (tovaglie, lenzuola, asciugamani, pan­ni di cucina, coperte), fasce per neonati.

L’uso dei rotoli di canapa, tuttavia, era destinato per lo più alle lenzuola del letto coniugale che costituivano il nerbo del corredo che le madri cominciavano a mettere insieme per le figlie fin da quando erano in tenera età; per realizzare un lenzuolo matrimoniale bisognava cucire insieme tre pezzi di tela dell’intero rotolo di tre metri ciascuno, senza mai sovrapporre il margine del tessuto (orlice); affinché la cucitura risultasse ben appiattita si usava il pun­to mosca.

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Lenzuolo nuziale e copricuscino in lino antico appartenuto alla mamma di Dina (inizi ‘900)

Punti impiegati: retino di fondo,  punto pieno, punto Rodi, retino di fondo …

Merletto realizzato all’uncinetto  dalla sorella della sposa Geltrude Papacchini

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.I RICORDI DI MARIA GIUSEPPA BRIZI

“Conservo con particolare cura la camicia e le federe della prima notte di nozze di mia madre. E pensare che anch’io  ho subìto il fascino  di voler buttare via tutto e seguire la moda!!! Ricordo che la mamma mi diceva “un domani vedrai che riandrai a cercare queste cose!!! ..” Cosi è stato. A Piansano, come in molti paesi limitrofi, nel dopoguerra, la povertà e la sofferenza vissuta in quegli anni aveva lasciato il posto soltanto al desiderio di voltare pagina, di dimenticare tutto, di buttare via tutto quello che poteva ricordare quegli anni terribili. Si voleva solo ricominciare a vivere… Senza voltarsi più indietro… C’era questo nel gesto di buttare via anche gli oggetti appartenuti alle generazioni precedenti.

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Diciamo che io non ho ceduto completamente a questa tentazione e così conservo alcuni capi del corredo della mia mamma.  Soprattutto conservo i suoi ricordi.  La mamma si è sposata negli anni ‘40. Il suo corredo era composto da dodici  lenzuola (dove per dodici si intendeva 12 lenzuola per il sotto e 12 per il sopra), sei tovaglie,  sei strofinacci, oltre a due camicie da notte  e agli asciugamani. La biancheria intima invece era in “mussolina” (tessuto di mussola). Il corredo era composto da capi color  bianco ghiaccio, soprattutto per quanto riguardava le lenzuola e le tovaglie. Gli strofinacci (i pannoni)  erano di colore grezzo, perché realizzati con una un canapa meno raffinata e non sbiancata.

A Piansano, già dagli inizi del ‘900  erano i numeri del sei e del dodici a prevalere per un corredo dignitoso.

Il venti era il numero di lenzuola che costituivano il corredo delle figlie delle famiglie benestanti. “Il venti” (venti lenzuola-venti ) era anche il numero che era diventato usuale negli anni ’70, quando io mi sono sposata.

Le lenzuola e le tovaglie venivano realizzate a telaio prevalentemente in canapa e cotone (il cosiddetto panno tusciano) o canapa e lino, o cotone e lino a seconda delle possibilità economiche delle famiglie. Generalmente erano le lenzuola “da sopra” che venivano realizzate con panno più raffinato, con il cuore della canapa o in canapa e cotone.  

Antonia Barbieri: Piansano 1874-1962

Il corredo della sposa aveva un significato molto particolare. La mamma mi raccontava di quando, durante “le veglie serali” (che prendevano il posto delle nostre televisioni e social network), una delle domande più ricorrenti alle ragazze in età da marito era: “Quante lenzuola hai, che corredo porti in dote?”

Per la realizzazione delle lenzuola  era fondamentale il lavoro della tessitrice. A Piansano, a partire dagli anni ’30 la tessitrice Antonia Barbieri è stata la protagonista indiscussa nella realizzazione dei corredi di quasi tutte le giovani spose del paese.

Quando si trattava di realizzare tessuti per una clientela di particolare riguardo, Antonia si recava a Grotte di Castro per avere aiuto e consulenza dalle tessitrici considerate le più brave tra i paesi limitrofi. Per preparare un lenzuolo, Antonia tesseva tre teli della larghezza di settanta centimetri  e della lunghezza di tre metri oppure un telo unico della lunghezza di nove metri che poi veniva tagliato.

Successivamente i  teli venivano cuciti insieme. Un particolare importante da far conoscere alle nuove generazioni. Quando un lenzuolo si “consumava” nella parte centrale, non veniva buttato via ma si sostituiva il telo rovinato.  Il telo vecchio veniva poi riutilizzato per realizzare strofinacci per la cucina”.

Telaio orizzontale conservato presso il Museo Civico Archeologico e delle tradizioni popolari di Grotte di CastroIl telaio orizzontale a due o a quattro linee che la tessitrice azionava con due o quattro pedali, era il tipo più usato nei centri dell’Alta Tuscia. 

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.Ero ancora una bambina, quando la mamma per spiegare che il tempo passa in fretta e non va sprecato in occupazioni inutili mi recitava un detto piansanese molto antico …

Fummo camicie belle/ Fummo camicie fine/ Nastri, merletti e mussoline../

Ma ora tutto è andato al cenciaiolo/ e non ritorna più (Dina Brizi -93 anni)

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Talvolta il torsello veniva srotolato con devozione lungo le vie del paese (in par­ticolare in quelle del centro storico), adornato ai lati con foglie e fiori per onorare il passaggio del “Santissimo” nella processione del Corpus Domini o quello delle Sacre Immagini, nelle altre processioni importanti dell’anno.

In segno di ossequio e di sacro rispet­to, era uso esporre alle finestre (parare) sul percorso processionale i capi più belli del corredo realizzati in panno fino, in canapa o in lino (tovaglie, coperte, lenzuola, asciuga· mani) capi finemente ricamati.

Mette­re le “paratine” era un’occasione per la donna per mostrare il corredo e la propria abilità di ricamatrice.

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Nei nostri paesi a vocazione prettamente agricola, diversi manufatti ad uso delle attività lavorative campestri: teli per la rac­colta delle olive, sacchi per riporre il grano, la farina e la crusca, bisacce (vertole) da caricare sulla groppa degli asini per trasportare i viveri per la giornata di lavoro, teli da porre sulle tavole di legno per la lievitazione del pane; questo tipo di tela ad uso dei campi, era realizzato con filato più grossolano, il capecchio o con stopparella.

 

Marta (VT), 14 maggio – Festa della Madonna del Monte

Maria Giuseppa racconta… 

“Sono cresciuta a Piansano  in una famiglia di agricoltori. Termini come “Sacconi” o “Bannelloni” erano molto familiari e più si utilizzavano in casa più significava che c’era benessere e ricchezza. Realizzati in canapa i “Bannelloni” servivano per conservare il grano e venivano confezionati  cucendo insieme due, tre, quattro sacconi. Erano gli anni ’40, il grano raccolto veniva portato a casa. Chi aveva la fortuna di avere una casa a pianoterra o un piccolo ripostiglio  preparava i  “Bannelloni”.   Essi riuscivano a contenere  fino a tre, quattro quintali di grano, che veniva  così conservato  e utilizzato durante l’anno per le necessità della famiglia.

Ero ancora una bambina, quando il babbo, periodicamente andava al mulino di Cellere per macinare il grano, fino a quando anche a Piansano è stato attivato il servizio per la macinazione.

I sacconi e i bannelloni venivano realizzati utilizzando la fibra della canapa ricavata dal maschio della pianta, che essendo una fibra grossolana e dura, non permetteva di ottenere un filo sottile ed era perciò  utilizzata nella tessitura esclusivamente per confezionare panno grosso, che serviva per realizzare anche i panni  ad uso di cucina e “le  sacchette per andare in campagna..”.

“…. Vicoli e finestre della mia infanzia ….” il centro storico di Piansano 

Per realizzare  “le  sacchette”  si prendeva un telo di canapa lavorato a telaio, si piegava alle estremità a seconda delle necessità, a formare due grandi tasche. La parte centrale rimaneva libera e poteva essere messa a spalla oppure sulla groppa dell’asino. Dagli anni ’60, per questo tipo di esigenze  è stata la iuta a sostituire la canapa  nel settore agricolo.

I “bannelloni” venivano utilizzati per la raccolta del grano fin quando erano in buone condizioni. Successivamente  venivano utilizzati come base di appoggio durante la raccolta delle olive”.

Imparare ad imparare con un filo… Laboratorio del racconto Gennaio-giugno 2017

  • “È importante la voglia di imparare … io per esempio utilizzo il cellulare e desidero tanto imparare ad utilizzare il computer … oggi c’è più possibilità di studiare ma meno voglia… oggi ci sono tutti i corsi che volete, tutti gli insegnanti che volete ma la motivazione a imparare  è minore .. non imparano… alle volte quando parlo con i ragazzi noto che non sanno che dire, non hanno argomenti, lo studio non giova se non pratichi le cose… ci vuole la cultura e  l’ aggiornamento delle cose della vita… sulle cose che nella vita servono e si vivono ..mi sono sempre aggiornata, mi sono sempre adattata al  mondo in modo critico, non sono mai andata dietro ad una moda o ad un’altra, sceglievo un criterio mio … Tra i ricordi più belli le ore passare a ricamare e quelle passate a leggere la sera, con una luce fioca davanti al camino…” (Dina Brizi – intervista realizzata nel gennaio 2017)

 

DINA BRIZI racconta   93 ANNI DI VITA SAPIENTEMENTE VISSUTA E RICAMATA  leggi tutto clicca qui 

 

  • Il nostro laboratorio ci ha riservato molte sorprese ma non avremmo certo immaginato di poter vedere da vicino e toccare con mano un “imparaticcio” ricamato a Piansano nel 1873. È Maria Giuseppa Brizi che ci mostra questo pezzo unico: l’ IMPARATICCIO-ABBECEDARIO DI LEONARDA RICCI, una sorta di quaderno degli appunti in tessuto. Maria Giuseppa Brizi racconta: “Ho ricevuto questo esemplare in lino antico da mia madre. Mi ha raccontato che è stata la maestra Leonarda  Ricci a  ricamarlo.  La maestra  Leonarda, di origini toscane, nel 1873 insegnava a Piansano….

 

1873: A PIANSANO LA MAESTRA CHE INSEGNAVA RICAMANDO…leggi tutto clicca qui 

 

  • Maria Giuseppa Brizi continua la sua storia… “Alcuni anni fa ho ripreso a ricamare. Tra i primi corsi che ho frequentato quello di ricamo su panno tusciano organizzato da Teresa Moschini. Nel 2012 ho realizzato una tovaglia su panno tusciano raffinato (tessuto a telaio con canapa e cotone), che ho ricamato a punto palestrina e punto erba”. 

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Le testimonianze di Maria Giuseppa e Maria Bernardina sono arricchite da alcuni approfondimenti curati dalla  signora Teresa Moschini. Originaria di Capodimonte, Teresa, vive a Grotte di Castro (VT)  ed é  la promotrice e la protagonista  di un interessante progetto di recupero e  di valorizzazione  dell’antico  panno tusciano.

I suoi laboratori di ricamo su panno  sono il primo passo verso un più ambizioso progetto. L’obiettivo è quello di  riscoprire il valore  sociale, economico e culturale che la lavorazione artigianale del panno tusciano ha avuto nel corso degli ultimi secoli. È attraverso questa rinnovata consapevolezza che potrebbero nascere le premesse  per “osare” la  re-introduzione del panno tusciano  nel circuito della produzione artigianale di qualità, affinché diventi  un  “biglietto da visita” della storia e dell’identità del nostro territorio. 

LAZIO/ CON TERESA MOSCHINI IL PANNO TUSCIANO RIVIVE  (Grotte di Castro- VT) clicca qui 

DOVE INIZIA LA STORIA … LA COLTIVAZIONE E LA LAVORAZIONE DELLA CANAPA  clicca qui

Imparare ad imparare con un filo – Laboratorio del racconto  settembre 2019