Visita alla città di Castro: appuntamento a Piazza Maggiore

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L’équipe di Geapolis ringrazia  la Dott.ssa Anna Laura, direttrice del Museo Civico  Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia di Castro,  per la consulenza scientifica, la documentazione  e per l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto. Il materiale  costituisce uno strumento  didattico-divulgativo, un contributo alla conoscenza  e alla valorizzazione del territorio,  della storia e della cultura locale.

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Piazza Maggiore era la piazza principale di Castro, sede del potere politico, economico e amministrativo. Progettata da Antonio da Sangallo il Giovane, aveva una pavimentazione in cotto e un sistema fognario all’avanguardia. Di impianto rettangolare, vi confluivano le vie principali e vi sorgevano gli edifici di maggiore rilievo. Sui lati corti vi erano ad ovest il Palazzo del Podestà  e ad est la Zecca. Quest’ultima aveva in facciata un paramento in blocchi di travertino e nella parte alta gli stemmi farnesiani. Per il privilegio concesso con l’istituzione del Ducato (1537), vi si coniarono, fino al 1546, monete d’oro, d’argento ed altro metallo. A nord sorgeva l’edificio dell’Hostaria, che si sviluppava su tre livelli elevati e uno interrato. Nel piano terra si aprivano sotto i portici gli ingressi al palazzo e  dieci botteghe, gestite dalla comunità ebraica di Castro….

Hostaria- Capitello da parasta – Museo Civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia  di Castro

LE OPERE PUBBLICHE
testo di Giuseppe Gavelli, tratto da La Città di Castro e Antonio da Sangallo (2007)

Lo Zucchi, pochi anni prima che la Città di Castro venisse distrutta, nel­la sua relazione afferma: “Vi è una bellissima piazza ammattonata e adorna­ta di palazzi  intorno e particolarmente del Palazzo Ducale, principiato e lasciato imperfetto, che a vederlo e considerarlo bene, aveva da mostrare una superbissima pianta che per ogni modo rende una superbissima vista”.

Quali fossero i “palazzi intorno” alla piazza principale, opera del Sangallo, è possibile rilevare dai disegni prospettici  preparati  dal celebre architetto, dalle planimetrie, dai  numerosi appunti che scriveva sui disegni stes­si e, da ultimo, dalle risultanze degli scavi eseguiti nell’area della piazza stessa….

Oltre al palazzo ducale di cui parla lo Zucchi e bene prendere visione dei progetti dell’ Hostaria e della Zecca

È  bene quindi esaminare le varie costruzioni, conoscere l’uso che ne è stato fatto per renderci conto che la “piazza ammattonata“, in certe particolari occasioni, si trasformava in un vero e proprio palcoscenico dove si recitava e ci si divertiva, ma che, in ogni momento, nella vita di ogni giorno, vi si concentrava l’attività cittadina o per meglio dire l’attività cortigiana, specialmente nel periodo in cui il Duca non aveva ancora ricevuto in feudo Parma e Piacenza.

Sempre lo Zucchi ci informa in merito alle feste patronali ed ai divertimenti a cui prendevano parte i nobili ed i popolani. E riferisce: “...vi si fan­no giostre, cacce, bagordi, commedie...”: ” … vi corrono pedoni  ignudi, e vi si fa alla lotta..  non mancano le corse di cavalli con fantino, le gare di tiro a segno con gli archibugi”. Poi, ricordando, con nostalgia, il tempo in cui Duchi e la Duchessa Jeronima risiedevano a Castro con la loro corte, scrive: “…vi si fecero in questa città giostre singolarissime, tornamene inaudite e combattimenti di toro, e molte altre feste e spassi col concorso di molti principi e cavalieri romani…”.

Zecca – Stemma centrale della facciata –Museo Civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia  di Castro

L’HOSTARIA ... IL LUOGO CHE ACCOGLIE GLI OSPITI DI RIGUARDO

Sono momenti in cui la piazza diviene “palcoscenico”, dove ferve l’attività dei banchieri e dei commercianti, dove si riversa, ogni giorno, an­che all’aperto, quella vita intensa, che si concentra intorno ai traffici ed al­la corte castrense. L’Hostaria, che è anche adibita a sede ducale, accoglie, normalmente, gli ospiti di riguardo, come letterati, artisti, cortigiani, e dalle botteghe,

Hostaria – Metopa con giglio farnesiano. Museo Civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia  di Castro

Dell’Hostaria non mancano piante e disegni di studi prospettici. Il palazzo doveva essere una bella costruzione di tre piani: i primi due piani pre­sentavano la consueta sovrapposizione di ordini, dorico al piano inferiore e corinzio a quello superiore.  Il portica­to, al piano terreno, era lungo sessantacinque metri. Sulla fronte che guardava la piazza si aprivano le tredici arcate che co­stituivano il “portico della piazza”. Sotto il porticato, un arco permetteva di transitare fino alla piazza del mercato, che l’architetto segnala con il termi­ne latineggiante di “macello”, poi vi erano tre botteghe, appartenenti al Du­ca; seguivano due botteghe dal Capitano Meo, l’ingresso alla sua casa ed al­tre due botteghe di sua proprietà: su cinque arcate viene costruita la casa del Capitano Meo e le rimanenti otto sono riservate  all’Hostaria.

La costruzione dell’Hostaria dovette presentare dei problemi di non faci­le soluzione sia per la funzionalità della costruzione divisa tra “lo Capitano Meo” ed il sontuoso albergo ducale, sia per il suo aspetto estetico. Infatti in uno dei disegni  l’Architetto, seccato, forse, da interferenze da parte degli esecutori dell’opera residenti nella Città di Castro, annota: “Circa questo di­segno non ho altro che mi dire se non che staria bene si facesse questo arco sopra la strada che va al macello, come nel primo disegno, che sarà di archi tredici e verrà un arco in mezzo così sarà la perfezione perché altrimenti sarà imperfetto e lo imputato sarò io se non si fa”. 

Per quanto riguarda il primo piano,  già è stata presentata le casa del Ca­pitano Meo trattando gli edifìci privati ed ora si può osservare come fosse disposta la parte riservata agli ospiti del Duca. L’appartamento era costituito da un grande cortile scoperto, una antica­mera, un salotto con camino, una preziosa sala che nel progetto iniziale era di dimensioni più piccole ed era stata ingrandita per desiderio del Duca, una grande camera con camino e molte altre camere da letto. Per la grande sala era stato anche progettato un sontuoso soffitto a cassettoni con la scrit­ta “P. L. FARNESIUS DUX CASTRI”.

LA ZECCA DI CASTRO ...

Dalle macerie, dopo gli scavi, è affiorata la costruzione della Zecca una costruzione ben nota: “…Del prospetto della Zecca abbiamo il magnifico di­segno N° 189 A, che è stimato uno dei più belli tra quelli usciti dalla mano del Sangallo. E un’opera veramente primaverile che, se ricorda in parte il Banco di Santo Spirito a Roma (Giovannoni), se ne distacca grandemente per la freschezza e la schiettezza delle partiture.”

E sempre il Giovannoni scrive ancora: “Nell’angolo della stessa piazza, trovasi la Zecca, e, nei Disegni 297 e 299, è indicata con un porticato, in cui con­tinuava quello dell’Albergo posto sul lato maggiore. Invece il ben noto Dis. N° 596 ci dà una completamente diversa forma architettonica, che imita tanto quella della Zecca di Roma, da creare incerta attribuzione, se non ci fosse la scritta “pel Duca di Castro”. Solo le proporzioni dovevano essere diverse dalla costruzione di Roma.

I resti dell’edificio  attestano che il rivestimento dei muri esterni era in travertino locale bugnato.

Nella Zecca, che fu attiva sino al 1546, furono coniati, ad opera dei Maestri Leonardo Centone da Parma e Gian Maria Rossi di Reggio, le belle monete del Ducato: lo Scudo d’oro, il Paolo d’argento, il Grosso d’argento, il Baiocco, il Baiocchetto ed il Quattrino.

Molti fregi architettonici della armoniosa costruzione sono sparsi sull’area della piazza antistante e due stemmi ducali sono stati recuperati e tra­sferiti nell’ Antiquarium Comunale di Ischia di Castro Pietro Lotti  di cui uno, il più piccolo, orna il portone d’ingresso al palazzo comunale.

Resti della Facciata della Zecca, atterrata nella demolizione 

Resti di pavimentazione in laterizio a spina di pesce nella Piazza Maggiore 

IL PALAZZO DUCALE

Del palazzo ducale, secondo quanto riferisce lo Zucchi, “principiato con bellissima architettura e lasciato imperfetto…” non rimane traccia. Qualcuno vuole identificare la costruzione in quella della Zecca che si era resa libera nel 1546 con la fine della sua attività, altri con il palazzo del­l’Hosteria. Non mancano i progetti del palazzo ducale e il disegno N° 1684 “… ac­curatamente delineato, uno dei più belli e nitidi che siano usciti dalla mano del Sangallo…” ci presenta non più il classico palazzo-fortezza,  ma una costruzione che somiglia più ad un palazzo cittadino. C’è anche un bozzetto planimetrico segnalato come  “palazzo novo per Castro” che è in contrasto con quello citato e mostra un solenne palazzo-castello con bastioni a sghem­bo racchiudenti l’ingresso a triplice fornice: un innesto dell’Architettura ci­vile a quella militare che ricorda vagamente quello del Sangallo, progettato sempre per i Signori Farnese, da erigersi a Caprarola.

I dubbi sorti dopo gli scavi della piazza in merito alla esecuzione di al­meno uno dei progetti citati sono aumentati: solo il proseguimento sistema­tico degli scavi nell’area di Castro potrà dare una risposta definitiva. Si può pensare che il palazzo di cui parla lo Zucchi sia un altro e che la vera dimora del Duca fosse stata ubicata in un luogo più appartato, come spesso avveniva, ma non molto distante dalla piazza stessa che era sempre un luogo di riunione e di traffici. Il disegno comunque di quel “palazzo per Castrò” non sembra corrispondere a nessuna delle costruzioni esaminate e quindi è da supporre che il progetto non sia mai stato eseguito, o, se ese­guito, deve essere stato demolito se non trasformato, e questo è il più probabile, secondo le esigenze nuove sorte dopo la concessione del nuovo feudo di Parma e Piacenza …

Con il palazzo ducale dei vari progetti, o senza, la piazza principale del­la Città di Castro rimaneva sempre una “bellissima piazza” lastricata, come poche capitali europee dell’epoca potevano permettersi di vantare, ed una valida rete di fognature che sembrano affiorare, alcuni tratti, tra le macerie.

 

La capitale di Francia aveva strade in terra battuta, fangose d’inverno e polverose d’estate, poi, per quanto riguarda le fognature, si doveva cammi­nare  “con  i fazzoletti profumati sotto il naso per difendersi dal gran fetore”;  di Londra è noto che “Le strade erano strette, ciottolose e scivolose per il sudiciume dei  rifiuti. I vasi da notte, o jordans, venivano vuotati dalle fi­nestre direttamente  in strada. I canali di scolo, rigagnoli scoperti, puzzavano da dare il voltastomaco all’uomo meno sensibile” (G. Baffioni, Annibal Caro e la Città di Castro).

La piazza, nel suo schema generale, presentava “…la nuova concezione urbanistica  del Rinascimento, fatta di regolarità di figure geometriche e di ben determinate proporzioni” era “uno spazio rettangolare, racchiuso in parte da palazzi porticati,  con disposizione racchiusa dal lato del palazzo maggiore,  e con  lo sfalzamento  negli assi delle due strade laterali, tale che ambedue avessero per sfondo  le facciate di nobili edifici”. (G. Giovannoni, Antonio da Sangallo il Giovane)

Disegno del Sangallo per la facciata del Palazzo Ducale (Archivio Uffizi n. 1684)

“CASTRUM FELICITATIS“ E LA FINE DI UN SOGNO

I lavori di sistemazione della Città di Castro dovettero procedere, all’ini­zio in particolare, ad un ritmo velocissimo, forse per l’imminente visita di personalità …

Queste fervore di opere  che inizia nel 1538, tende a diminuire, sensibil­mente, non appena il Serenissimo Duca di Castro prende possesso del Du­cato di Parma e Piacenza (1545), fino a fermarsi del tutto, lasciando incom­piute molte delle opere progettate dal Sangallo. Ci dà conferma lo Zucchi stesso, nella sua relazione, che scrive “…nel qual tempo vi furono edificati molti belli edifici, case, e mattone le strade, che avuto poi Parma e Piacenza, la maggior parte restarono imperfette”.

Resti di capitelli della facciata della Zecca che si affacciava sulla piazza Maggiore di Castro

L’antico “Castrum Felicitatis” o “Castrum Felix”, come ricorda Mons. Stendardi nelle sue “Memorie Storiche”;  la “bicocca” tanto vituperata da Annìbal Caro nelle sue lettere; la cittadina che aveva fatto storcere la bocca a Margherita d’Austria durante la sua visita ed il breve soggiorno, grazie  all’attività di Antonio da Sangallo il Giovane, si stava trasformando in una città ritenuta già, da molti, unica al mondo per il suo complesso  urbanistico; una perla di incomparabile bellezza incastonata nel verde della Maremma, capace di donarle nuovo splendore, che dava al vecchio Pontefice Paolo III  il prestigio desiderato ed ai suoi discendenti assicurava che la loro  potenza si sarebbe prolungata nei secoli.

Ma il sogno dei Farnese si dissolveva, dopo poco più di un secolo di vi­cende fortunose, infrangendosi contro le decisioni di un debole vecchio pontefice, Innocenzo X°, amico dei Barberini, e le manovre occulte di una donna abile e volitiva, Donna Olimpia Maidalchini, come affermano al­cuni.

I poderosi bastioni, le solide porte, il gigantesco maschio e le temibili fortificazioni a tenaglia resisteranno all’impeto degli assalitori ed al mar­tellamento delle artiglierie del Conte Widman e del Marchese Gabrielli, ma cadranno, demoliti dagli errori politici, tattici e psicologici degli  uomini. Rulleranno i tamburi pontifici e saranno resi gli onori delle armi ai difensori della città guidati dal Colonnello Sansone Asinelli; usciranno dalle porte, ancora intatte, i miseri abitanti in cerca di un luogo ove rifugiarsi mentre da Roma giungerà, in contrasto con i patti di resa sottoscritti, l’ordine di demolire le fortificazioni e le case dei poveri e dei ricchi, le chiese ed i conventi perché della Città di Castro non rimanga pietra su pietra, perché sia cancellata dalla Maremma il simbolo della potenza dei Farnese.

Sulle rovine, sparse sul pianoro, stenderanno un manto pietoso i rovi e le ortiche, poi crescerà la macchia maremmana, come era prima che l’uomo primitivo vi costruisse la sua dimora. Per secoli, sui miseri resti graverà il silenzio; molte pietre, prelevate dal cumulo delle macerie  serviranno a co­struire le case e le chiese dei paesi vicini ed il silenzio sarà rotto solo dal grido del mandriano e, di tanto in tanto, nel mese di giugno dal canto dei pellegrini, che tornano, per un atavico richiamo, a pregare nel Santuario del SS. Crocifisso.

Le lacrime amare dei cittadini, innocenti vittime di intrighi politici, di debolezze di potenti, di giochi di potere, non riusciranno a far cambiare l’or­ribile decisione ed in ricordo della “perla della Maremma”, delle opere di Antonio da Sangallo rimarrà solo una colonna su cui sarà scritto “QUI FU CASTRO”.

ANCORA CON GIUSEPPE GAVELLI

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Ogni luogo ha il proprio spirito, il proprio passato,

le proprie aspirazioni.

Jerome Bruner

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APPROFONDIMENTI/ CASTRO... RISCOPERTA DELL’ANTICA CAPITALE FARNESIANA

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I centri del silenzio

come retaggio dei centri della vita 

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CASTRO… L’ANTICA CAPITALE FARNESIANA 

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LA PRIMA CATTEDRALE:

Santa Maria “intus civitatem”

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IL DUOMO: SAN SAVINO 

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