3/ Risonanze da Castro … Gigi oh! o il silenzio innocente

I RACCONTI DI ELETTRA DE MARIA

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I  SILENZI DI CASTRO … 

GIGI OH! O IL SILENZIO INNOCENTE

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Da dove fosse arrivato nessuno avrebbe saputo dirlo e quale fosse la sua età nessuno avrebbe potuto immaginarlo.

Era spuntato un giorno dal nulla sulla piazza maggiore e le madri erano state leste a richiamare i loro figli temendo lo strano forestiero.

Avanzava faticosamente e quei vecchi calzoni che indossava -e che una sorta di cinghia sembrava tener su a mala pena- non riuscivano a nascondere la gracilità e la sofferenza della gamba destra, così procedeva come dondolando, facendo un mezzo giro su quella sinistra, quasi fosse un nuovo, strano ballo.

Lì alla taverna non era passato inosservato e gli uomini che vi si erano attardati, vuoi per curiosità, vuoi perché il vino li aveva resi allegri di quella stupida e torpida allegria figlia spesso di qualche bicchiere di troppo, lo avevano attirato per farsi gioco di lui.  -Come ti chiami, vecchio balordo?

In realtà se fosse davvero vecchio non si sarebbe potuto dire con certezza: poteva avere venti come quaranta anni, con quell’aria stolida, quella sporcizia che riempiva le pieghe del viso tramutandole in rughe che forse davvero non c’erano.   -Oh, articolò lui.

Probabilmente era muto. Se ne accorsero anche perché faceva segno alle brocche sul tavolo in un gesto che chiedeva di poter essere dissetato.

-Ti chiami Gigi?, scherzò uno.

-Oh, rispose lui a fatica.

-Gigi-oh!, ripeterono tutti, sghignazzando scompostamente come fosse stata una battuta spiritosa. Fatto sta che da allora per tutti diventò ‘Gigi-oh’.

Buona era la gente di Castro e verso di lui, ingenuo e innocente come un bambino, subito cominciò come una gara di solidarietà. Nonostante le ristrettezze di quell’anno, nonostante i timori di una nuova guerra che rendevano attenti a che nulla andasse sprecato, quando Gigi-oh compariva, non mancò mai qualche massaia che non gli allungasse qualcosa da mangiare, fosse pane, formaggio, qualche oliva secca, una coppa di vino. Anche i ragazzi del paese avevano ben presto imparato a divertirsi con lui e lo seguivano imitando il suo particolare incedere in un ciondolante corteo che sembrava una buffa danza. Gigi-oh ringraziava le donne e sorrideva ai ragazzi con i suoi incessanti, rauchi oh!

Magari per qualche giorno non si faceva vedere e poi all’improvviso spuntava da un viottolo dietro la chiesa di Santa Maria, quella dentro la città.

Dove stesse o quale fosse il suo ricovero quando non c’era, era un mistero per tutti: forse -si dicevano in paese- qualche tana di animali o qualche grotta di quelle dove si raccontava che in un tempo tanto tanto remoto vivesse della gente.

Anche don Angelo, il vecchio prete, lo aveva preso a ben volere: gli mostrava la chiesa, gli spiegava gli affreschi, gli parlava di Gesù e Maria. Certo non capiva se  comprendesse davvero quello che gli andava dicendo, ma lo stava a sentire e sembrava commosso. Come poteva don Angelo immaginare che, mentre guardava con gli occhi spalancati quell’immagine di donna lì, nell’edicola, con il bambino fra le sue braccia, gli si affacciava il ricordo lontano delle uniche braccia che lo avevano stretto a sé nella sua vita?

Quando era in paese per lo più se ne stava a Santa Maria. Gli piaceva la messa soprattutto quando don Angelo mangiava l’ostia o beveva nel calice. Un giorno il prete aveva cucinato lui stesso perché in paese c’era uno strano fermento, come di tragedia incombente, e anche la vecchia perpetua era andata a trovare i suoi. Lo aveva invitato a mangiare con lui. Gigi-oh aveva preso in mano la scodella con l’acquacotta -così l’aveva chiamata il prete!-, ma lui non ci aveva visto la verdura e l’uovo, ma solo il colore di una chiazza di neve sull’erba dei prati al momento del disgelo con una piccola rosea peschetta tagliata a metà.

Certo, sì, sapeva cosa fosse un uovo, tante volte l’aveva bevuto imparando a farvi sopra un piccolo foro! Ne aveva trovate qua e là e qualcuno l’aveva anche chiamato ladro, ma lui non avrebbe saputo dire cosa significasse.

Ma quel tepore, quel sapore…

– Oh!, disse.

Ciononostante Gigi-oh un interesse lo mostrava! E un interesse ben strano! Spesso prendeva per mano il prete e gli faceva cenno di spiegargli quegli strani segni sulla facciata della chiesa: è scrittura gli aveva spiegato lui!

“C’è scritto Santa Maria intus civitatem che vuol dire dentro la città! Si chiama così perché fuori c’è un’altra chiesa intitolata a Maria, la Madonna”.

Da allora aveva cominciato a volgere il suo sguardo interrogativo e a indicare altre scritte: “S. Savino”, “Iacobus Caronius”, “Hostaria” e così ogni volta che vedeva altre iscrizioni, ma era soprattutto “Hostaria” che gli piaceva e si attardava a farsi ripetere  ancora e ancora la sillaba ‘sta’!

Questa, semplicemente, era la sua povera esistenza. Eppure Gigi-oh in quel maledetto anno era forse il più sereno di tutti: quando la vita non ti dà nulla e neppure la capacità di comprendere che nulla ti sta dando, non ti chiedi come sarà il domani, se avrai da mangiare o morirai di fame, se l’inverno sarà gelido e l’estate torrida, se il raccolto ci sarà oppure no. Prendi quello che viene, libero dai perché che assillano gli altri uomini.

Già! I perché! Il raccolto!

A Castro quell’anno ci si chiedeva cosa potessero avere loro a che fare tra l’odio di un duca a Parma e di un papa a Roma, se fosse giusto che tutto il grano che i soldati arrivati avevano mandato a mietere dovesse finire a riempire magazzini destinati a soddisfare debiti non loro!

E se tutta quella fatica sarebbe bastata a tener lontana la guerra che avevano sperimentato appena solo pochi anni prima!

Gigi-oh era fuori da tutti questi pensieri e guardava la vita con una meraviglia sempre rinnovata da mille piccole cose.

Arrivò tuttavia il giorno in cui tutto era destinato a cambiare. La guerra temuta era diventata ormai terribile realtà.

Le truppe papaline erano arrivate in massa: uomini, cavalli, archibugi, cannoni, senza che il duca accorresse a difendere il suo ducato. Devastazioni, crolli, morti disseminati ovunque!

Gigi-oh fuggì via.

L’ultima volta lo videro andare verso S. Maria: qualcuno giurò di averlo visto mandare un bacio alla Vergine e allungare la sua mano verso l’affresco con l’arcangelo Uriele in atto di condurre Giovanni Battista nel deserto, come se cercasse una guida anche lui. Poi non se ne seppe mai più nulla.

Alla fine di agosto Castro capitolò.

Dove era andato quel giorno Gigi-oh?

Aveva salutato la sua mamma sull’altare, aveva cercato la mano di quell’angelo che sapeva guidare e aveva imboccato il suo viottolo.

Nella fitta vegetazione aveva con facilità ritrovato la sua strada e, arrivato a una svolta, aveva spostato con cautela i rami intricati che nascondevano l’accesso a un lungo corridoio che a un certo punto si biforcava. Con sicurezza, come uno ben avvezzo, aveva svoltato a destra, aveva trovato i suoi soliti scalini e li aveva discesi fino ad arrivare al suo regno: una grotta immensa in qualche modo illuminata da un raggio di luce che riusciva a filtrare dall’alto.

Il suo regno fatto di rutilanti immagini! Figure di banchetti, suonatori, lottatori, alberi, piante, uccelli, colori bianco, nero, rosso, ocra, giallo, azzurro come il cielo che gli vorticavano intorno, che ai suoi occhi si sovrapponevano e che, dopo tanto tempo, ancora strappavano ‘oh!’ alla sua gola!

Fra tutte era un’immagine che gli piaceva in modo particolare: cavalli che trascinavano strani carri.

Gigi-oh sedette sul trono scavato nel tufo nel fondo della grotta e si fermò a guardare davanti a sé i resti di un carro uguale a quelli. Certo non era in grado di riconoscervi una biga, così come non avrebbe potuto sapere che quella pietra posta lì da parte era stata incisa molti anni dopo. Tuttavia fu proprio a quella pietra che volse la sua attenzione e si ricordò dell’Hostaria e di tutto quello che don Angelo gli aveva mostrato a Castro: Ho-sta-ria… sta…

-Sta-to-nia, lesse. Statonia!

Gigi-oh chiuse gli occhi per sempre.

La documentazione fotografica riguardante il sito archeologico della Città di Castro (VT) e le attività della campagna di scavo del 1997 è stata gentilmente concessa  dalla dott.ssa Anna Laura direttrice del Museo  Civico Archeologico  “Pietro e Turiddo Lotti” – Ischia di Castro

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Jean Baptiste Camille Corot, Cava di  Chaise-Marie a Fontainebleau, 1830 

CASTRO ... RISCOPERTA DELL'ANTICA CAPITALE FARNESIANA
a cura della dott.ssa Anna Laura - Direttrice del Museo Civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” – Ischia di Castro

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CASTRO… L’ANTICA CAPITALE FARNESIANA 

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LA PRIMA CATTEDRALE: Santa Maria “intus civitatem”

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