8/ L’esperienza di Anna Filosomi: “Nella malattia, la bellezza é un’àncora…”

Pubblicato il 19 ottobre 2018

Scriveva Seneca: “È durante la tempesta che conosciamo il navigatore”. Anna Filosomi ha 69 anni e vive a Grotte di Castro (VT). Nove anni fa la diagnosi di morbo di Parkinson ha fatto tremare alle fondamenta la sua vita. Ricamare è stata l’occupazione quotidiana che l’ha accompagnata  fino ad oggi. Da cinque anni frequenta il gruppo di ricamo “C’era una volta il panno” ideato e condotto dalla  professoressa Teresa Moschini che abbiamo conosciuto nei mesi scorsi.

ANNA FILOSOMI E LA SFIDA AL PARKINSON: “IL RICAMO É LA MIA TERAPIA”

La  bellezza è la fioritura dell’ essere (Plotino)

Come mi sono accorta della malattia? 

Tutto è iniziato una notte di nove anni fa. Stavo a letto. All’improvviso un senso di vertigine… Era come se tutto si muovesse, tutto girasse intorno a me… una sensazione bruttissima! Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo. Non stavo bene. Aspettavo con fiducia che tutto passasse ma sentivo che c’era qualcosa che non andava.  Ero spaventatissima. 

Con i familiari cominciavo a confidare le mie paure: “Temo di avere il Parkinson! Lo sento”. Erano queste le mie paure. Tutti cercavano di rassicurami dicendomi che non era niente di grave. 

Un familiare mi consigliò una visita neurologica. “Così dopo sarai più tranquilla…”, mi disse.  Invece la diagnosi non lasciò  dubbi: morbo di Parkinson. Ciò che più mi ha aiutato è stata la vicinanza della mia famiglia, mio marito e i miei figli. Tanta preoccupazione ma, dopo un iniziale  momento di disorientamento, abbiamo cercato di affrontare il problema nel modo migliore, affidandoci a specialisti che, ormai da anni, mi seguono e mi accompagnano dal punto di vista terapeutico e umano. Per me sono un punto di riferimento fondamentale e costante. All’epoca avevo sessant’anni e non la presi proprio bene… I primi anni sono stati difficili. Mi ero chiusa in me stessa e non riuscivo a parlare con nessuno del mio problema.

Ad un certo punto hai deciso di parlare della tua situazione… Perché? Che cosa è successo dentro di te?  Sicuramente ciò che più mi ha aiutato è stata la vicinanza e il sostegno di tanti amici e amiche.

Tra queste proprio Teresa Moschini che ho sempre apprezzato per la sua creatività e la sua competenza. Erano già passati quattro anni dalla diagnosi di Parkinson, quanto Teresa mi invitò a partecipare al gruppo di ricamo “Cera una volta il panno”. All’inizio rimasi un po’ perplessa. Ho sempre ammirato i manufatti ricamati ma devo ammettere che la mia passione fino a quel momento era stato il lavoro all’uncinetto. Non mi ero mai dedicata al ricamo. Tuttavia accettai l’invito di Teresa. Avevo bisogno di “scuotermi un pò..!” In quel momento, finalmente, avevo la forza di farlo nel contesto giusto, insieme a persone amiche. All’inizio quasi nessuno era a conoscenza del mio problema.  Un giorno ne parlai con una signora. Le sue parole furono per me uno specchio dove mi sono riconosciuta e dove, con il tempo, sono riuscita ad “ammirarmi”. Mi disse: “Sai perché non ne parli? Perché non hai accettato questo tuo problema. Il giorno che l’accetterai ne parlerai tranquillamente…”. Così è stato. Un cammino lungo ma oggi siamo  qui a parlarne insieme perché desidero condividere la mia esperienza  con voi e soprattutto con  le persone che si trovano a vivere il mio stesso problema. Da quella notte di nove fa, quando tutto iniziò, ho affrontato momenti difficili, momenti di fiducia e di sconforto ma  oggi  la mia vita è serena. È stato un percorso graduale. 

IL MORBO DI PARKINSON

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Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. Si tratta in pratica  della morte di una serie di  cellule presenti nei nuclei della base dell’encefalo, che hanno in comune il fatto di avere la dopamina come neuro trasmettitore dell’impulso. Queste cellule servono a modulare il movimento e anche il tono muscolare. E infatti i sintomi che si manifestano con la morte di tali cellule sono la rigidità dei muscoli, il tremore, e la lentezza nei movimenti. L’evoluzione clinica è variabile tra individui, come pure le compromissioni della sfera psichica che solo in alcuni casi possono manifestarsi. Con la scoperta della dopamina la prognosi di tale malattia è migliorata sensibilmente, e spesso la persona che ne soffre può svolgere le funzioni motorie in maniera adeguata.

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Quindi  la preoccupazione più grande era di pensare cosa sarebbe successo  in futuro… la paura  del domani? 

Si. Pian piano ho cominciato a pensare che più che pensare al domani è importante vivere bene la quotidianità, l’oggi che ci è dato di vivere. Perché  oggi dovrei stare male per quello che mi potrebbe accadere domani… oggi  sto bene, esco, sto con le persone, parlo con le persone, ricamo, cucio, cucino, mi diverto, vado dai miei figli, vado al mare, vado al lago, perché devo stare male per il domani? In questi anni ho lavorato molto su me stessa.  Ho sempre pensato di avere un carattere un pò fragile.  Fin da giovane portavo  sempre con me “lo zainetto delle paure” … la paura di viaggiare, la paura della solitudine, la paura che chissà cosa poteva accadere alle persone a cui voglio bene.

Il Parkinson mi ha resa forte. Non mi piace chiamare il Parkinson malattia, l’ho sempre chiamato “problema”. Posso dire oggi di riuscire ad affrontare questo problema  con molta autonomia mentale e fisica. Ci tengo molto alla cura della mia persona.  Forse ci tengo più di prima. Se prima non mi trascuravo oggi ancora di meno. Questo mi fa stare bene e mi dà grande soddisfazione. Conduco una vita normale, gestisco gli impegni quotidiani, mi dedico alle cose che mi piace fare, sto insieme agli altri, non mi faccio più problemi  se tremo un pochino … 

Il ricamo è diventata la mia passione… Il ricamo mi piace, mi stimola. La mattina, quando mi alzo, ho voglia di ricamare. Prima di dedicarmi ai vari impegni quotidiani,  mi metto in poltrona un’oretta con il mio lavoretto, poi lo metto via e la giornata può iniziare. Ormai sono cinque anni che ricamo.  Mi piace. 

Quante ore al giorno lavori? Hai dei ritmi costanti?

È una attività che mi accompagna nel corso della giornata.  Ricamare è diventato il gesto che dà il passo, il  ritmo,  l’energia alle mie giornate. Ricamare è la motivazione quando metto i  piedi fuori dal letto, magari  con il proposito di  ricamare quel fiore che  mi era venuto male il giorno prima.  Ricamo la mattina, prima di iniziare la giornata, mi capita di ricamare in tarda mattinata, nel pomeriggio e soprattutto la sera prima di dormire… 

Che cosa significa per te ricamare?  Ricamare mi permette di …

Ricamare risveglia la mia creatività, la mia vitalità, mi piace la sensazione di padronanza che mi dà la capacità di saper abbinare i colori oppure riuscire a disegnare ciò che ho in mente e che voglio ricamare su un tessuto. Disegno da sola ciò che voglio ricamare. Comincio a provare i disegni su carta.  In questi anni ho fatto tanti tentativi, buttato tanti fogli. Quante volte mi sono alzata  la mattina convinta di avere l’ispirazione giusta ed avere in mente esattamente ciò che volevo fare.  Poi il dispiacere di scoprire che il disegno che riuscivo  a fare non è quello che avevo  in mente. E  allora ricominciavo. La parola d’ordine:” Si prova un’altra volta…”  Una continua sfida ed  è questo che mi appassiona ancora oggi.

E poi come non essere soddisfatti quando si riesce anche ad inventare qualche nuovo punto di ricamo? Confesso che ci ho provato! Ricordo che un giorno, durante una lezione con il gruppo di ricamo “C’era una volta il panno”, alcune signore mi chiesero:“Dove hai trovato questo punto?.” Risposi:“Dentro un cassettino.” Intendevo dentro un “cassettino della mia capacità creativa.” Avevo inventato io quel punto.  Mi piace molto personalizzare il lavoro e creare oggetti un po’ originali. Penso per esempio ad una borsa che ho ricamato con particolare piacere e come posso non ricordare un ricamo che è diventato un quadro per la casa di mio figlio! Sicuramente debbo molto alla competenza e alla capacità di Teresa Moschini  di avermi saputo motivare, accompagnare e sostenere durante le ore di  lezione con lei. Mi ha insegnato a ricamare utilizzando contemporaneamente tre fili di colori diversi, per arrivare a sfumare le tonalità e dare profondità ai soggetti che si scelgono. È molto stimolante ricamare come se si dipingesse con un pennello (punto pittura)! Sono solo alcune delle esperienze più belle che riesco a vivere, dimenticandomi completamente dei  miei problemi e di eventuali limiti che possono sopraggiungere.

Mentre lavori cosa pensi?

In genere si pensa che il ricamo rilassa. In realtà, quando ci si mettere a ricamare, è importante avere la disposizione giusta e la concentrazione necessaria, altrimenti è meglio lasciar perdere. Se invece entro in sintonia con il lavoro che sto facendo  provo un grande benessere,  la soddisfazione di riuscire a fare bene una cosa che amo e dove cerco di dare il meglio di me.  A volte mi sento brava a volte meno brava. L’importante è non scoraggiarsi, andare avanti e continuare a fare, vale nella vita e vale nel ricamo.  Quando periodicamente mi sottopongo alle visite di controllo, il mio medico mi domanda sempre se ancora mi dedico al ricamo. Il riuscire a portare avanti questa attività è indice che riesco a gestire bene e in modo efficace il mio problema.

Le attività con  gruppo di ricamo in che modo  ti aiutano  a vivere le relazioni  con gli altri?

Da cinque anni, dalla fine di ottobre  alla fino ad aprile, dedico due ore alla settimana alle attività e ai corsi organizzati con il gruppo di ricamo. Tutta la settimana  la vivo in preparazione del giorno che devo andare al corso.  Sono diventata per tutti ”la zia Anna”. Durante la settimana, la mia casa è diventata  il punto di riferimento anche per le altre allieve … per disegnare, per aggiustare, per essere consigliata, per essere aiutata.

Immagina di trovarti insieme ad una persona che solo da poco tempo ha scoperto di avere il tuo stesso problema.

Partendo dalla tua esperienza  e dal percorso  di elaborazione che sei riuscita a fare che cosa ti sentiresti di dirle? 

Le direi innanzitutto che è importante non fermarsi. É importante non mettersi su un divano e piangersi addosso, peggioreresti la malattia. Il ricamo per me è stata una terapia!

All’inizio della nostra intervista hai affermato di aver imparato a conoscere il Parkinson non come  una malattia temibile ma come  un problema da affrontare. Puoi dirci, in sintesi, in che modo  sei riuscita e riesci ad affrontare “questo problema”?

Ho cominciato a stare meglio quando non ho più avuto paura di uscire,  di frequentare il corso di ricamo anche se le mani mi tremavano. Ciò che più mi ha aiutato e mi aiuta è stare in mezzo alla gente  e insieme agli altri condividere progetti comuni… (il corso di ricamo, organizzare una mostra, organizzare un viaggio insieme… ).

Perché hai deciso di condividere la tua esperienza con gli amici di Geapolis?

Si vive con gli altri e si vive per gli altri. A volte quando si parla di sé lo si fa per ostentare un po’, per attirare l’attenzione su di sé. Non è certo il mio caso. A me è servito un lungo periodo per arrivare al punto di poterne parlare serenamente. Ora lo faccio perché voglio comunicare un messaggio positivo, soprattutto rivolto alle persone che vivono la mia stessa situazione.

Sono consapevole che il morbo di Parkinson si manifesta in vari modi e può rivelarsi più o meno invalidante. Ognuno di noi, portatore di questo problema, è un caso a sé. 

Tuttavia, auguro ad ognuno di riuscire ad avere e a mantenere, nel corso del tempo, l’amore per la vita, non per aggrapparsi a tutti i costi ad essa ma per viverla, assaporandone tutte le sfumature, anche l’incertezza e la fragilità.

Visto che parli di sfumature… quale stagione ami? Nel corso della tua vita è cambiata la stagione che preferisci? No assolutamente no. La mia stagione preferita rimane la primavera insieme all’esplosione dei colori che anche l’autunno sa regalarci. Forse la natura mi ha insegnato a riconoscere e ad accogliere le sfumature  a colori  e in bianco e nero che la vita porta con sé. Posso dire  che a 69 anni ho imparato ad abbracciare anche la fragilità e l’incertezza. Questo mi rende forte.

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... LA MIA FORZA VIENE DA ...

Anna Filosomi ha voluto condividere con noi la sua storia. L’ha fatto con semplicità, con il desiderio di aiutare altre persone. Non è la prima volta che un momento difficile della sua vita si trasforma in una occasione di riflessione. Il suo pensiero ritorna spesso ai tempi della  giovinezza, quando, dopo aver perso il suo primo figlio al nono mese di gravidanza,  la storia del Bambino di Anna è diventata la trama di  uno  dei brani musicali  più famosi del repertorio di  Giosy Cento.  Anna conclude così:

“Posso affermare di essere una donna fortunata perché la fede è stata sempre “la forza superiore” che mi ha sostenuto nei momenti più difficili. Molta della mia serenità  la devo alla vicinanza di mio marito Oscar che, nel corso degli anni, non mi mai fatto sentire sola. Dove non arriva con le parole mi raggiunge con la sua creatività. Il suo sguardo fotografico mi contagia e, quando i miei pensieri diventano un po’ troppo in bianco e nero, i colori delle sue foto riescono ogni volta a mettere  nelle mie giornate un po’ di luce e di colore…”.  

intervista a cura di Antonella Cesari 

Grotte di Castro (VT). Festa della Madonna del Suffragio-Settembre 2018 

Anna Filosomi con il marito Oscar Martini insieme 

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