“Nessuno è profeta in patria” recita un antico proverbio. Niente di più vero e sperimentabile. La Tuscia è terra ricca di storia, di bellezze paesaggistiche, di cultura. E nell’universo culturale della Tuscia spicca in modo particolare la figura di un originale artista e poeta-pastore autodidatta: Ennio De Santis. E’ la sua una poesia che fa tutt’uno con il sentimento e che parla direttamente al cuore. Ricca di metafore e di onomatopee, parla di infanzia, di paese natio, di amore per la terra e per gli animali che alla terra sono più radicalmente e visceralmente legati: le greggi.
Durante la mia esperienza di insegnante, ho avuto modo di avvicinarmi a questo poeta e di farne apprezzare alcune “perle” ai miei alunni.
Ma una cosa che ho scoperto solo recentemente è che già negli anni ’70/’80 la poesia di De Santis aveva guadagnato stima e riconoscimenti internazionali e che nel 1979 era addirittura divenuta oggetto di un laboratorio linguistico, proposto da una giovane maestra di Piazzolla sul Brenta (PD), Marisa Peruzzo, ai suoi alunni di 3° elementare. A conclusione del laboratorio, i bambini invitarono il poeta nella loro scuola. Questi rispose dapprima che non poteva lasciare il suo gregge, poi in seguito ad una commovente corrispondenza tra l’artista e i suoi giovani ammiratori, cedette alla loro tenera insistenza e partì per Piazzolla. In occasione di quello “storico” incontro, volle dedicare ad ogni alunno una poesia appositamente composta (“Il tuo mattino mi avvolge”), per esprimere gratitudine verso quei bimbi che lo avevano avvolto, con il loro mattino, “srotolando sereni”.
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Il tuo mattino mi avvolge
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Tenero e forte
srotolando sereni
di luce nuova inondi gli spazi
occupati dagli anni
che mi spinsero via dai tuoi luoghi,
e taciti origlio
sciogliersi e sloggiare.
E sul biancore che spargi
rosso di fremiti il mio cuore, un tamburo galleggia.
M’è dolcissimo grido
il tuo sguardo sbocciato nell’alba
che fa crollare ogni peso.
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Bellezza, stupore, nostalgia sono i sentimenti dell’infanzia, ma anche quelli che scaturiscono dalla vista del paese natio, Piansano (…. Ad ogni mio ritorno come rondine a picco in te mi getto. E fra ondate di verde nella mantiglia di vento che gioca in azzurro per i poggi ti spalanchi a nicchie di vascello….), o dal suo amore per la terra e per le greggi.
Nella poesia di De Santis pastori e greggi vivono in una ancestrale simbiosi e si integrano perfettamente con la natura: il rumore del vento, gli umori caldi soffiati dalle mandrie, i cordoni d’erba dei sentieri… (Con le orecchie in ascolto nella patria del tuono, agli orizzonti gli occhi e le narici nella tana del vento….si sollevano i pastori della banda del Poggio…Vanno!)
La mitezza del gregge è anche la mitezza dei pastori, entrambi “munti” delle loro ricchezze ed entrambi accumunati da gesti millenari che si perpetuano nel tempo come antichi riti. Partecipazione alla vita degli animali è vivere in comunione con essi, sentire il loro respiro e il loro dolore, quel dolore che a volte ci sfiora ma che ci lascia fondamentalmente indifferenti. Il poeta sente invece intimamente tale dolore e ne è profondamente scosso e lacerato (Avevano sgozzato gli agnelli. “Terribile quel piscino dal mento”……mi ricordava un pianto cantilena di donne siciliane in una chiesa scordata…San Francesco belava fra quel vociare di pecore trafitte).
Sono soltanto alcune delle numerose composizioni ricche di sensibilità e bellezza composte dal nostro conterraneo, oggi apprezzato nell’ambito di ristretti circoli di artisti e studiosi, ma ancora poco conosciuto al grosso pubblico e soprattutto alle nuove generazioni.
Secondo me un modo per far fruire ai ragazzi l’opera del nostro poeta-pastore è proporla nelle scuole della nostra regione attraverso percorsi didattici appositamente programmati. Anche se con un trentennio di ritardo rispetto ad insegnanti più attenti e solerti, si potrebbero organizzare corsi di poesia che affondino le radici nella nostra storia e nel nostro territorio, come da tempo ci invitano a fare i programmi delle scuole di ogni ordine e grado. I ragazzi potrebbero in tal modo capire che la poesia non è un’arte astratta coltivata da strani personaggi che vivono tra le nuvole e usano una terminologia difficile, ma un linguaggio che può essere usato da chiunque ne abbia l’estro e la sensibilità, perfino da un geniale contadino-pastore della nostra zona, che da decenni crea componimenti che non hanno niente da invidiare a quelli dei poeti italiani più famosi ed hanno il vantaggio di parlarci della nostra terra, delle nostre radici, della nostra storia.