Nel 1808 si sposò con Enrichetta Blondel, di famiglia ginevrina residente a Milano, e il matrimonio fu un’altra esperienza decisiva, sia per l’affetto profondo che lo legò alla moglie, sia per l’influsso che questa, calvinista fervente, esercitò sulla vita religiosa di lui. Presto infatti emerse evidente la divergenza tra lui, non ateo ma indifferente al problema religioso, e lei, cresciuta severamente in una fede diversa da quella in cui il Manzoni era stato educato.
Il matrimonio segna così l’inizio di quel faticoso travaglio, di quella intensa meditazione intorno alle confessioni cattolica e protestante, che dovevano concludersi coll’adesione dello scrittore alla fede cattolica. Tornato nel 1809 a Parigi, il Manzoni vi frequentò gli eredi della tradizione di Port Royal e vi conobbe il sacerdote giansenista Eustachio Dégola, che riuscì, vincendone le esitazioni, i dubbi, l’avversione nei confronti del cattolicesimo, a portare Enrichetta alla accezione della fede cattolica. Così il problema religioso si presentò anche al Manzoni, che lo affrontò con la serietà pensosa che gli era propria.
La sua vita dal 1810 al 1833 – l’anno della morte di Enrichetta- si indentificò, in un certo senso con le sue opere, ed è risolvibile interamente in queste e nel carteggio con gli amici, soprattutto con Claudio Fauriel, che gli fu, in quella fase, non solo amico del cuore, ma confidente intellettuale.
In quegli anni il Manzoni si accostò a suo modo alle tesi romantiche; fu, con il suo consueto riserbo prudente, vicino ai giovani del “Conciliatore”, che difese con la lettera Sul Romanticismo; seguì con interesse, ma da lontano , senza prendervi parte direttamente, tanto le polemiche letterarie quanto i primi moti risorgimentali.