Con Mirella Bulletti… il ricamo osa strade nuove

...… Quando cammino, ovunque mi trovi, se mi capita di osservare qualcosa è perché attrae la mia attenzione, perché mi comunica, perché riesco a vedere oltre la reale forma, perché mi trasmette la voglia di fare. Le mani mi prudono… il ricamo si affaccia nella mia mente: il colore, la forma, le sfumature, il movimento si affollano e trovo pace solo nel momento in cui infilo l’ago. L’ultimo punto non lo vorrei mai dare. (Mirella Bulletti)

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a cura di Adriana Armanni

A quanti anni e in che modo si é avvicinata al mondo del  ricamo? Ci racconta brevemente il suo percorso? Avendo una mamma ricamatrice, ho visto fili, disegni e stoffe continuamente. Il suo ricamo era classico, fatto su tovaglie, lenzuola e altra biancheria per la casa: era il suo lavoro.

Durante le elementari andai per sua volontà ad imparare dalle suore, come molte altre bambine della mia età. Era un’abitudine diffusa insegnare il ricamo fin dall’infanzia ed un modo per permettere alle mamme di lavorare mentre noi eravamo impegnate.

Quella che sentivo come imposizione non mi piaceva affatto. Il gigliuccio, il punto a giorno, il punto quadro ripetuti per metri e metri, non mi appartenevano. Avevo bisogno, allora come adesso, di colore, colore e colore e soprattutto di espressione. Ho ricercato la sperimentazione in vari campi, fino a quando sono approdata alla pittura vera e propria. Poiché le regole mi sono sempre state strette, anche per imparare la pittura avevo bisogno di un metodo che mi consentisse di liberare le mie sensazioni. Ho trovato la scuola francese Martenot, che ho frequentato per otto anni.

Quali sono le tecniche di lavorazione principali alle quali si dedica? Il punto pittura è stato la conseguenza logica ed inevitabile di questa ricerca: ho unito le mie due passioni. Ho sempre ricamato durante la mia vita, ritagliandomi piccoli momenti per rilassarmi, dando sempre molta importanza al colore. La tecnica nasce mentre lavoro, deve assecondare il risultato che voglio ottenere, sempre ben chiaro nella mia mente via via che il ricamo cresce sotto le mie mani.

Secondo lei, nella lavorazione prevale l’aspetto della tecnica, della disciplina, della passione per ciò che si fa? Che altro?…. In che modo questi aspetti si integrano e interagiscono tra loro? 

La tecnica mi è di aiuto, ma non disdegno di mescolare e cambiare repentinamente il modo di lavorare, se non mi soddisfa. Spesso faccio delle prove che rimangono poi degli incompiuti, anche importanti, ma li utilizzo solo per sperimentare nuovi modi e materiali con il quale lavoro.

Ci racconta un aneddoto particolarmente significativo legato alla sua esperienza di ricamatrice? L’avvento di Internet è stato molto importante,  perché ho potuto entrare in contatto con molte ricamatrici di tutto il mondo, confrontarmi e confermarmi nelle mie capacità. Attraverso la rete ho conosciuto due persone che sono importanti per me: in un corso di ricamo in oro del quale ero venuta a conoscenza proprio da Internet, ho conosciuto Barbara Trimarchi. Siamo subito entrate in empatia per la passione comune che ci unisce, ma sviluppiamo in modo totalmente diverso. Il ricamo è per entrambi supporto alla vita e fonte di energia, la sperimentazione è il nostro fil rouge.

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Quando ho finito il Paliotto dell’Angelo, sono entrata in contatto con Adriana Armanni che aveva mostrato l’interesse di vederlo. Ho conosciuto la sua scuola Arti & Pensieri e dalla sua passione per la scrittura e l’arte è scaturita la proposta di scrivere un libro per raccontare perché è nato il Paliotto di San Martino a Strada. 

Durante alcune ricerche storiche che si è trovata a fare, ha sempre sentito la mancanza di una documentazione sui manufatti ricamati, per i quali si attribuisce epoca e località di provenienza secondo canoni approssimativi e mai certi.

Lasciare quindi uno scritto che spiegasse chi e perché questo ricamo moderno è stato fatto, era importante. Per saperne di più clicca qui 

Che cosa significa per lei realizzare un manufatto? Come nasce l’idea, come si sviluppa? Cosa prova quando terminato l’ultimo punto può dire: “Il lavoro è concluso!”

La pittura mi ha insegnato ad osservare. Osservare non vuol dire solo guardare, ma approfondire nei particolari. Quando cammino, ovunque mi trovi, se mi capita di osservare qualcosa è perché attrae la mia attenzione, perché mi comunica, perché riesco a vedere oltre la reale forma, perché mi trasmette la voglia di fare. Le mani mi prudono… il ricamo si affaccia nella mia mente: il colore, la forma, le sfumature, il movimento si affollano e trovo pace solo nel momento in cui infilo l’ago. L’ultimo punto non lo vorrei mai dare.

Ha qualche lavoro al quale é particolarmente legata?

“Il riposo nei campi” è un mio dipinto ad olio su tela, nato con il metodo Martenot molti anni fa. A lungo è rimasto nel mio studio appeso al muro come quadro. Finito il Paliotto l’ho guardato con occhi diversi: ho deciso di ricamarlo. L’elaborazione a ricamo ha richiesto tuttavia una lunga ricerca, sia per quanto riguarda l’impostazione dei punti – per evitare un effetto piatto ricamando a settori distinti – sia per quanto riguarda il fondale. La profondità di quest’ultimo è stata determinante: volevo che queste donne apparissero stabili e tridimensionali. La pittura mi è stata d’aiuto per riprodurre la fuga prospettica.

Mirella Bulletti, Il riposo nei campi 

Quali prospettive vede nel  futuro per il mondo del ricamo e del merletto? Che cosa si potrebbe fare anche a livello nazionale per promuovere questo settore?

Valorizzare le persone, portare allo scoperto professionalità e passioni di ognuno di noi è estremamente importante per evitare che questa arte rimanga ancora misconosciuta. Ritornare all’insegnamento anche nell’infanzia, per quanto possa apparire obsoleto, è invece per me determinante per alimentare la mente dei bambini e avviarli alla manualità.

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MIRELLA BULLETTI si racconta … FOTOGALLERY clicca qui 

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Quali sono state le circostanze e le condizioni favorevoli che le hanno permesso di realizzare il Paliotto dell’Angelo  collocato a San Martino a Strada?

Nella mia parrocchia, San Martino a Strada a Grassina, è stato restaurato l’affresco  dell’Angelo Annunciatore, attribuito probabilmente alla scuola di Spinello Aretino. La  Chiesa non aveva un paliotto e questa immagine mi ha dato lo spunto per realizzarne uno. Non volevo però copiare un’opera del passato, nonostante avessi cercato nel web e nelle Chiese di tutta Italia dei soggetti che mi comunicassero qualcosa. Esattamente come quelli antichi venivano prodotti seguendo le mode ed i dettami del loro periodo, il Paliotto doveva avere una sua contemporaneità. Ho progettato personalmente i vari disegni che ho via via rielaborato in corso d’opera, adattandoli all’ispirazione del momento. La suddivisione in triangoli richiama la Trinità. L’Angelo, rielaborato da mia figlia Eloisa – insegnante di pittura – ha nella sua centralità il punto focale del paliotto. Tutte le mie opere sono multi materiche. Non riesco a fermarmi al solo filo: mi piace mescolare materiali, effetti e colori di ogni genere. Anche nel Paliotto questa naturale inclinazione è ben evidente: ricamo, pelle, oro, perline, paillettes e applicazioni in stoffa si mescolano tra di loro. Ci sono voluti cinque anni tra la progettazione e l’ultimo punto, ma al momento della sua collocazione in Chiesa, avvenuta a Pasqua del 2015, l’accoglienza dei fedeli presenti ha ripagato le tante ore di lavoro ed i momenti di incertezza incontrati durante questo lungo percorso.

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LA BELLEZZA ... secondo MIRELLA BULLETTI

Che cosa è per lei la bellezza? Dove la cerca? Dove la trova?

La bellezza è ovunque, basta saperla riconoscere: è uno stato d’animo, è lasciare la mente aperta a vedere, non solo a guardare. Un filo d’erba, un fiore, una nuvola, sono fonte di bellezza. Noi italiani siamo molto fortunati in questo senso. Basta guardarsi intorno: il bello è ovunque. Vivere a Firenze vuol dire vivere in mezzo all’arte ad ogni passo. Indubbiamente questo influisce sulla mia voglia di fare: mi viene sempre voglia di dipingere o ricamare. E’ importante abituarsi fin da piccoli a gustare l’arte. Un museo, un tramonto, un paesaggio ben raccontati, insegnano a sviluppare la creatività e senso del bello.

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