Il Fascino dell’Alto Lazio

Il Fascino dell’Alto Lazio

 

 

piansano

… Nelle borgate e nei paeselli, un silenzio fondo, quasi arcano,  ha la sua influenza persino nell’aspetto del paesaggio…. 

 Che cosa distingue  questa regione dalle altre vicine? Si può parlare di un carattere, di un clima morale, di un aspetto del paesaggio, caratteristici dell’Alto Lazio? .. Forse proprio da tanti contrasti, da influenze diverse, dal non essere né Toscana né Umbria ma neppure Lazio in senso stretto, è derivato a questa regione, che con più esattezza dovrebbe chiamarsi Tuscia, un suo carattere. Definirlo non è facile.

Probabilmente il fascino dell’Alto Lazio deriva dall’incrocio di due sogni diversi che nel passato proprio su queste terre fiorirono: il sogno grande di Roma, che divenne realtà possente nei secoli, che trionfò nel mondo,  che queste regioni vicine con la sua gloria e la sua potenza non solo inondò ma quasi sopraffece; e il ricordo di un altro sogno, rimasto nella memoria degli uomini quasi soltanto un mistero: gli Etruschi.

Dovunque nell’Alto Lazio affiorano rovine degne di rilievo, a Ferento, a Bisenzio, a Vulci; sotto le mura di laterizi compaiono i resti di costruzioni e di sculture etrusche, e non soltanto i famosi sarcofagi … I resti misteriosi, le testimonianze ancora indecifrabili di quel sogno lontano s’incontrano con i segni di una realtà che fu grande nei secoli, della cui potenza il mondo ancora risuona; e da questo contatto nasce forse quel senso di malinconia aspra, quasi diffidente, quell’impressione di “rusticità gentile” di cui molti hanno parlato… quella “gentilezza” non appare facilmente, essa è da scavare sotto resistenze  accanite, sotto scorie multiple, perché ha origine fonda; e quando si parla di una malinconia aspra, di una certa diffidenza, risalendo all’antico,  è l’eco delle generazioni  che tante cose videro cadere nei secoli. Ma non si tratta in ogni modo né di una malinconia né di una diffidenza in senso decadente; ché accanto ad esse è ancora oggi, viva e operante, una resistenza di propositi, una cocciutaggine la quale, fra le popolazioni limitrofe, è andata in proverbio.

Anche il misticismo, l’amore alla religione, che tanta parte prende nella vita dell’Alto Lazio, ha caratteri diversi che nella vicina Umbria. Oltre che dai contatti con l’Umbria e dalla vicinanza di Roma, anch’esso forse ha le sue origini antiche presso gli Etruschi: almeno per quel che riguarda il senso della morte… In ogni modo il misticismo da noi non ha mai avuto la letizia del “Cantico delle Creature”: è un misticismo più ruvido, si direbbe più vicino alla terra…

                              tratto da “Il fascino dell’Alto Lazio” (1942) di Bonaventura Tecchi

 

 

FORMAZIONE & CULTURA

 

I pensieri più belli degli uomini morirebbero con essi, 

se qualcuno non li ricordasse alle future generazioni

Rosario Scipio

 

 

 “… Le virtù dell’insegnante: Chiarezza, Modestia, Pazienza…”

 L’ultimo giorno di lezione di Bonaventura Tecchi all’Università di Roma, fu il 21 maggio 1966. Nel suo discorso di commiato risuonò quasi a chiusura di un discorso iniziato in anni  lontani, un invito a chi si sarebbe dedicato all’insegnamento: “Ricordate che tre sono le virtù dell’insegnante: Chiarezza, Modestia, Pazienza!”. Il suo metodo didattico mirava non certo ad imbottire le teste di nozioni, bensì a costruire qualcosa negli animi. Così anche l’ultima lezione, la lettura di Goethe, il poeta che aveva congiunto il divino e l’umano, fu una riaffermazione di fede nella poesia, nell’arte, nell’anima umana.

 

 “… Come farò a tenere l’ultima lezione?…”  Dal diario inedito di Bonaventura Tecchi

 Roma 17 maggio 1966, sera. Da quasi due settimane, e ogni giorno più, ho un senso d’angoscia, d’ansietà crescente. Come farò a tenere l’ultima lezione?

18 mattina. Stamani due fra le ultime lezioni (anche olandese). Dalle 5 lavoro per le lezioni. Peggioramento delle condizioni d’animo di oggi. Lasciare la scuola per me è terribile. Non gli esami che odio (non vorrei mai giudicare nessuno), non i compiti scritti. Non il “professorume”, non la prosopopea di essere in cattedra (che spero di non aver mai avuto), ma la scuola, il poter comunicare con gli altri e specie con i giovani. Poter dare loro la mia anima, insegnare quel poco che so, quel tanto che è l’amore per il bene. I lettori dei miei libri non li vedo, gli scolari sì: sono vivi davanti a me, vedo i loro visi, mi aiutano a vivere, m’insegnano a vivere. Quando mia moglie era malata  e mi sentivo disperato, la lezione mi rasserenava: almeno per un’ora o due. Respiravo un poco.

19 maggio, Ascensione. Non mi viene da lavorare. Ho tante cose da dire per le ultime due lezioni, e non riesco ad organizzare le idee. Pomeriggio (tardi) passeggiata sull’Appia Antica.

20 maggio. Ultima lezione! Della mia vita. Tutti questi giorni lo ho passati sotto l’insegna trepidante di questa lezione. Tenuta sul mio Goethe, sulla poesia più difficile Del “Divan: Höheres und Höchstes”, “L’alto e il sublime”. Ho cercato di vincere la commozione. Molto calore d’affetto da parte degli scolari. Ho capito che mi vogliono bene…. Quanto più avrei potuto fare! Mi pare d’aver tagliato una spiga nel momento in cui era più piena di chicchi. Pazienza…. (Bonaventura Tecchi)

 

…. sul suo comodino al momento del trapasso vi erano due libri: il Vangelo e i Promessi Sposi.

 

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