Osare la via del teatro… con Eleonora Cecconi

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Benvenuti a teatro dove tutto è finto e niente è falso 

G. Proietti

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a cura di Mattia Russo

Giovane drammaturga e regista teatrale, piena di sogni e di energia, rappresenta senza dubbio un bellissimo esempio per i giovani che decidono di intraprendere l’impervia e  meravigliosa strada della recitazione. Come insegnante di teatro, sta dimostrando  ai suoi allievi come l’arte, in un certo senso, possa decisamente cambiare la vita. Eleonora  Cecconi,  ha 29   anni e  attualmente vive a  Perugia. A 4 anni è già sul  palco per la recita della scuola materna e da allora non ne è più scesa. Si laurea nel febbraio 2011 in  Lettere Moderne  presso la Facoltà di Lettere e Filosofia del  capoluogo umbro.  Nonostante l’amore per lo studio umanistico, conseguita la laurea, inizia a viaggiare tra Roma, Milano e Perugia  per studiare recitazione e  formarsi professionalmente. 

foto by Sara Belia

Si è formata artisticamente con i  laboratori teatrali sull’arte dell’attore  tenuti dalla Compagnia Liminalia di Perugia (Metodo Grotowski). Ne diventa attrice professionista dal 2009 al 2013, collaborandoci  anche  per alcuni anni. A Roma ha frequentato il corso di alta formazione Officina Pasolini sezione teatro diretto da M. Venturiello, studiando con affermati professionisti, quali  Armando Pugliese, Paolo Coletta, Germano Mazzocchetti, M. Letizia Gorga. Nel 2014 fonda l’Associazione culturale LA LINEA GIALLA, insieme all’attrice Valentina Favella e Alessandro Trionfetti. Attualmente ne è Presidente.  Ha in attivo dal 2015 due laboratori di formazione teatrale permanente presso la sede dell’Associazione Voci e Progetti di Perugia.

Ad Eleonora abbiamo posto qualche domanda. Le abbiamo chiesto di raccontarci il suo percorso, perché possa essere d’ispirazione ai giovani, soprattutto a coloro che intendono avvicinarsi al mondo del teatro. 

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Per me il teatro è una chiave per offrire speranza, mettendo al centro l’impetuosa importanza della trasmissione del pensiero. Come accade nelle lezioni di Louis Jouvet, uno dei più grandi attori e registi francesi del Novecento, nel rapporto fra maestro  ed Elvira dove, il desiderio d’insegnare qualcosa a qualcuno, diventa la ricerca di uno scambio di flussi di coscienza e conoscenza tra allieva e maestro.

(Toni Servillo)

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A quanti anni sei salita sul palco per la prima volta ? Che spettacolo era? Che ruolo interpretavi?

La prima volta è stato a 4 anni. Mi ricordo che interpretavo una ballerina odalisca nella recita di fine anno della scuola materna. Avevo un vestito verde pieno di pagliette brillanti. Mia madre era fissata con le pagliette!!! Non ho nessuna foto che possa documentare ma forse… meglio così! Mi ricordo che mi sentivo… come dire,“sciolta nei movimenti” e soprattutto ricordo una “fortissima sensazione”, la stessa che ho provato qualche anno dopo quando ho deciso di percorrere la strada del teatro.

Che cosa ha rappresentato il teatro per te durante la tua adolescenza e durante la tua infanzia?

Il teatro, nella forma in cui lo intendo oggi, è cresciuto in me nella tarda adolescenza. In una prima fase lo consideravo un divertimento, sicuramente, pensando al mio futuro, non puntavo sul teatro! Ho giocato a pallavolo a livello agonistico fino a 18 anni. Quando ero piccola mi divertivo a prendere scarpe e vestiti dei miei genitori, mi chiudevo spesso in  camera oppure giocavo in spazi aperti. Sono cresciuta in campagna. Parlavo da sola per ore. Interpretavo più personaggi insieme, magari riproponevo scene di film che avevo visto. Spesso mia madre mi sorprendeva, e allora facevo finta di niente, tranne quando ero vestita strana e lì non potevo che diventare paonazza dalla vergogna. Ancora oggi la ringrazio per non aver mai pensato che avessi problemi di personalità multipla!!! Capiva che giocavo, anche se non capiva perché lo facessi da sola…! Certo è che non avrebbe mai immaginato che quel gioco sarebbe diventata la mia vita!!!

Cosa è successo a 18 anni, ovvero quando hai deciso di dedicarti veramente al teatro?

E’ successo che mi sono iscritta ai corsi di teatro che organizzava la  mia scuola. Ho frequentato il Liceo scientifico “G.Alessi” e ho iniziato a conoscere un altro modo di fare teatro. I miei insegnanti di teatro erano Silvia Bevilacqua e Francesco Torchia della compagnia teatrale LIMINALIA di Perugia. La cosa è successa in modo molto spontaneo, mi sentivo portata, appagata, sentivo che ogni volta c’era come una specie di magia che si creava anche tra noi ragazzi…ore di prove insieme, ore di attesa insieme. Poi il momento finale dove vedi di tutto: gente che non vuole più entrare in scena, gente che va in bagno anche 3 volte, chi dimentica le battute e chi invece va alla grande e si diverte un mondo. Ricordo che i saggi finali venivano presentati  al Teatro Morlacchi di Perugia. Un conto è vederlo vuoto e un altro vederlo pieno. Ricordo che, entrata in scena, mi è arrivato un calore umano pazzesco, un botta di adrenalina così forte che poi mi è stato impossibile dormire per 2 notti di seguito. E lì ho capito che questa “cosa” mi faceva sentire viva e allora ho mollato la mia idea di iscrivermi alla facoltà di giurisprudenza e mi sono iscritta a lettere e filosofia, dove c’erano corsi di Storia del teatro, Antropologia teatrale ecc…che naturalmente ho seguito. Gli anni dell’università sono stati molto belli per me.

Che cos’è per te, esattamente, il teatro?

E’ un modo di vivere. É qualcosa che ti allena alla vita: l’ascolto del tuo corpo, del corpo degli altri, di ciò che accade dentro e fuori di te, la camminata, il rispetto, la caduta del giudizio… Tutto  ti allena a vedere, a farti qualche domanda in più, a cercare la verità di quello che dici a parole o con il corpo. Per me il teatro non è recitare qualcosa a memoria e avere l’applauso del pubblico. Considero questo un pò infantile, come quando, a Natale, recitavi la poesia e tutti alla fine ti dicevano “brava”. Ecco, nel mio modo di fare e di insegnare teatro  c’è una ricerca costante e sfinente della verità. Tutto ciò che è fine a se stesso non mi interessa. Il Teatro è un mezzo per comunicare con gli altri. Ciò che è vero è vero, lo è sia per chi agisce che per chi guarda. Per questa ricerca ci vuole non solo del tempo ma soprattutto la fede, ma non quella verso la divinità, ma verso una dedizione alla causa senza filtri e senza pregiudizi. 

Per me il fine è il pubblico, ma non il consenso del pubblico. É il pubblico in quanto direzione di ciò che faccio. É al pubblico che parlo ed è per il pubblico che lo faccio. Ripeto, tutto ciò che è fine a se stesso, l’egocentrismo degli autori e degli attori non mi interessa.

.“Essere all’altezza dei sogni;

niente altro può fare una vita in alto mare se non seguire la luce orientata del faro,

la cui esistenza è certezza per la speranza di andare avanti in solitaria senza smarrirsi”.

Anna Marchesini (da Il terrazzino dei gerani timidi)

Può essere didatticamente utile per  superare i propri limiti? Può davvero aiutare le persone a crescere?

Sostengo e sosterrò fino alla fine dei tempi che il teatro dovrebbe essere insegnato a scuola, come l’educazione civica. Penso che sia inutile insegnare nozioni specifiche senza prima insegnare le norme dello stare insieme in comunità. Ciò che imparo a scuola di specifico sulla fisica, la matematica quantistica, le matrici impossibili ecc…non a tutti sarà utile nella vita, dipende da ciò che ciascuno sceglie di diventare. L’educazione civile invece riguarda tutti, matematici, impiegati, liberi professionisti, politici, disoccupati…tutti, perché tutti facciamo parte di una comunità e ci vuole rispetto. Credo che il teatro, nel modo in cui lo intendo io, sia una bellissima palestra di educazione civile, una bellissima opportunità per mettersi in gioco, per superare i propri limiti, le proprie timidezze. Ho visto ragazzi mettersi davvero in discussione e superare concretamente anche problemi di coordinazione motoria, di articolazione, di respirazione ecc…

A proposito so che avete fatto delle domande ad alcuni dei miei allievi sono curiosa di leggere le loro testimonianze. Clicca qui

Qual’è la tua opera teatrale preferita?

Non è facile rispondere a questa domanda…ho visto molti spettacoli che, per un motivo  o per l’altro mi hanno lasciato qualcosa. Ci sono anche molti spettacoli, purtroppo,  che non mi hanno lasciato proprio niente se non la domanda: “Ma perché non sono rimasta casa?”. Comunque c’è uno spettacolo che mi è rimasto nel cuore. Si tratta de  LA TRILOGIA DELL’ATTESA della Compagnia LaFabbrica di Roma. Sono rimasta folgorata dalla bravura degli attori e dalla regia geniale di Fabiana Iacozzilli. E’ uno spettacolo che ho visto al teatro Vascello a Roma circa 3 anni fa. Ma forse tu mi chiedevi “l’opera teatrale”???

Ecco sì…no perché in qualche modo volevo citarlo questo spettacolo!!! Dunque: adoro Ionesco è di un’attualità spiazzante. Mi piace tantissimo Heiner Muller, in particolar modo Medea e Hamletmachine che sono delle opere che ti sconquassano lo stomaco per quanto sono feroci e vere. Credo che Il Mercante di Venezia di W. Shakespeare sia un capolavoro assoluto. Racchiude in sé tutto su l’umanità e sui rapporti sociali. E potrei andare avanti all’infinito ma questi che ho citato sono quelli che più di tutti mi porto dentro.

Quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Ops! Questa è ancora più difficile di quella prima. Partiamo da colei che, più di tutti, per me ha rappresentato l’icona della bravura, della professionalità, della comicità più vera e genuina ed è Anna Marchesini. E se rimaniamo nella comicità, non posso non citare l’indiscusso Totò e infine ma non per ultimo l’immortale Eduardo De Filippo.

Per quanto riguarda la regia, attualmente, sento una grande stima artistica per Emma Dante. Il suo modo di usare il tempo in scena mi affascina tantissimo. E le storie dei disperati, dei relitti della società che racconta arrivano sempre molto forti al pubblico, nel bene e nel male.

Se passiamo al cinema cito senza ombra di dubbio Sean Penn e Meryl StreepCinema Italiano? Faccio subito riferimento a Marcello Matroianni, al grandissimo Alberto Sordi e Mariangela Melato (“Amore mio aiutami” capolavoro!), per citarne alcuni. Oggi, invece, seguo con molto interesse Luca Marinelli, mi arriva molto, lo trovo molto credibile.

E poi concludo nominando lui, il superportentoso, Antonio Rezza che mi regala sempre botte di vitalità pura a teatro. E’ un mostro di bravura nella sua peculiarità, nella  sua intelligenza sottile e nella logica paradossale della combinazione delle parole. Ecco, se penso a qualcuno che si diverte tanto quando recita penso proprio a lui.

Raccontaci un po’ di come è nata “La Linea gialla”….

a) Che cosa significa il suo nome? Dunque se vi dico: “Attenzione, si prega di non oltrepassare La Linea Gialla” cosa vi fa pensare? Esattamente… proprio lei… la linea gialla delle stazioni. L’associazione è stata fondata nel 2014. In quell’anno, noi soci fondatori, ovvero io, Valentina Favella e Alessandro Trionfetti eravamo sempre in giro: chi a Milano, chi a Roma, chi a Torino ecc…e la frase che accompagnava i nostri viaggi era sempre lei. E così ci siamo detti che rappresentava proprio ciò che cercavamo, proprio l’idea di confine/limite tra realtà e finzione, tra noto e ignoto…insomma, che succede se oltrepasso quella Linea Gialla? ATTENZIONE SI PREGA DI FARLO LONTANO DALLE STAZIONI FERROVIARIE MA SOLO IN APPOSITI SPAZI SCENICI.

b) Quali sono le vostre tecniche didattiche? Non posso dirlo altrimenti poi dovrei ucciderti. Posso solo dire: Provare per credere!!!

c) Quali sono i vostri ideali? Onestà, verità, rispetto, perseveranza e costanza.

Hai mai incontrato durante il tuo cammino persone che ti abbiano sconsigliato di seguire questo tuo sogno?  NOOOOOOOOOOOO………..MAI! Che poi è interessante guardare i loro occhi: a parole dicono “Ah maddai vuoi fare teatro?” e con gli occhi “Ma perché non ti trovi un lavoro e non un hobby!”.

Come hai trovato la forza ed il coraggio di inseguirlo? Con tanta Pazienza e tanto Amore. Amore quello vero, quello incondizionato, quello del tipo.. continuo a dedicarti la mia vita anche se, quando mi chiamano a lavorare, spesso, danno per scontato che lo faccia gratis;  oppure quando devo fare il doppio se non il triplo lavoro per continuare a fare teatro, continuare a formarmi o a  prendere parte a progetti teatrali. E’ solo da 2 anni che la mia prima entrata proviene dal teatro ma prima ho dovuto veramente tenere duro dal mollare tutto! Ci sono stati dei momenti  brutti, quando tutto quello  per cui ti sentivi portato e a cui avevi dedicato la tua vita ti tornava indietro come un boomerang tra i denti. Alla fine ciò che doveva essere bello diventava spesso doloroso e frustrante.

Cosa consiglieresti ai giovani che sognano di fare teatro?

Di farlo senza aspettarsi niente in cambio. Di farlo e basta.

Hai mai ipotizzato la strada del cinema?

Sai che no? Non mi sento minimamente portata per il cinema. Sono troppo legata a ciò che accade QUI ED ORA, sono troppo legata al calore del pubblico e al bello della diretta. Ho vissuto esperienze  meravigliose solo per il fatto che stavano accadendo in quel momento, con quel pubblico, con quella luce, con quella musica, con quella battuta sbagliata.

Nella tua presentazione, nella rubrica di Geapolis “Avalon Ship” hai allegato una frase di G. Proietti: “Benvenuti a teatro dove tutto è finto e niente è falso”. Potresti spiegarla?

Beh, forse ho già “ammorbato” abbastanza il lettore con questa storia della verità! Cercherò di essere super sintetica. In poche parole il pubblico e gli attori sanno che sta accadendo qualcosa che convenzionalmente riconosciamo come  finto, che non sta accadendo veramente. Non si muore veramente a teatro, ma allo stesso tempo, pur sapendo che è finto, siamo disposti a crederci fino in fondo a quello che vediamo (ammesso che gli attori siano credibili, ovvio)!

Pensi che la laurea in lettere ti abbia aiutata  nel tuo percorso artistico?

Non penso dal punto di vista pratico! Il teatro è un’arte applicata, non la si può studiare sui libri, però, sicuramente, frequentare la Facoltà di Lettere e Filosofia, mi ha fatto entrare in contatto con tante persone interessanti, sia studenti che professori, mi ha dato modo di approfondire l’analisi del testo, le norme della retorica, della poesia, di leggere tanto. Questo sì.

C’è qualcosa che cambieresti ?

Più che cambiare, crescere! Vorrei studiare musica e informarmi di più a riguardo. Credo che per la mia crescita professionale sia necessario stringere un rapporto più profondo con la musica.

Empatia,  interiorità  e silenzio… Che cosa significano per te, nella tua vita personale e soprattutto in che modo si relazionano con il teatro? 

Credo che a teatro il silenzio e l’empatia siano le condizioni sine qua non. Bisogna saper ascoltare prima di parlare. Bisogna saper comprendere prima di giudicare. La cosa è molto complessa, in generale si parla sempre di più e non si ascolta quasi per niente, si è schermati, ovattati nella propria condizione che ci risucchia. Il teatro, per come lo intendo io, è un modo per rientrare in contatto con gli altri, ripartendo da cose elementari, dalla camminata, alla respirazione, dall’ascolto dell’altro e di se stesso con l’altro a la comunicazione del linguaggio corporeo. Il nostro corpo dice e comunica molto di più di quanto riusciamo a dire a parole. Possiamo dire di non essere imbarazzati, ma il nostro viso diventa rosso al di là che noi lo vogliamo o meno. Possiamo dire di essere le persone più aperte del mondo ma le nostre spalle se sono chiuse e incurvate in avanti, non possono mentire. Tutto questo è la conseguenza di una mancata consapevolezza del proprio corpo e di un mancato silenzio verso un proprio ascolto. Il teatro aiuta molto anche in questo. 

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Ti consideri un libero professionista oggi?

Professionista sì, libero purtroppo no. Non credo che la libertà sia di questa società che abbiamo costruito. In realtà, dietro a questa apparente libertà,  si cela una evidente “scelta costretta”: “Vuoi” rifiutare un lavoro che non ti piace ma che ti dà da mangiare o “vuoi” accettare qualcosa che avresti rifiutato ma che è ben pagato? Sto parlando dei famosi compromessi. Dipendiamo sempre da qualcuno o da qualcosa, magari non abbiamo un datore di lavoro ma abbiamo le bollette da pagare ogni mese, l’affitto, la spesa, le medicine ecc…questi sono i miei datori di lavoro. Devo dire che sono una “non libera professionista” felice perché faccio quello che mi piace, insegno teatro, faccio regia, scrivo i copioni… questo vincolo economico che ho con la società, riesco a sopperirlo facendo qualcosa che amo e non che sono costretta a fare. Quindi cerco sempre di mettermi in discussione, di tirar fuori il piacere di fare un lavoro anche se è stato commissionato e che magari, in altre situazioni, non avrei fatto. Ho imparato che la necessità, quella vera, quella concreta, può spostare veramente le montagne. E oggi, alla veneranda età di…(BIP) sono ancora più contenta perché posso iniziare a dire di no. Anche se arrivasse  il nome famoso di turno e mi chiedesse  di recitare gratis per lui, io, oggi, gli direi di no. 

Che cosa pensi dei giovani-adulti di oggi? Quali sono le speranze, i sogni, le disillusioni che portano dentro?

Basta con lo sfruttamento gratuito dei giovani. Solo perché siamo entusiasti e pieni di energia, di voglia di fare, non possiamo essere disposti a fare una gavetta-tirocinio eterna e per di più gratuitamente. Che poi la sensazione è come se, alla fine, sono loro a fare un favore a te. “E’ visibilità…fa curriculum, devi fare la gavetta”. Sì, ma, quanto dura questa gavetta? Io, per esempio, ho veramente le bollette da pagare, se non mi pagano per me è un problema. Che poi io le cose gratis le faccio anche… i voglia! Ma devo avere il piacere io di farlo e non perché in cambio mi dai la visibilità. Come dice Emiliano Luccisano “se avessi voluto la visibilità mi sarei messo nudo a Piazza di Spagna no?”. Come in tutte le cose, è sbagliato generalizzare, ci sono veramente i “Bamboccioni” in giro ma ci sono anche tantissimi giovani costretti a fare 3 lavori per ricavare un solo stipendio mensile dignitoso. Ne conosco tanti! La cosa buffa é che, spesso, nessuno dei 3 lavori ha contratti dignitosi. Vorrei concludere tutto “sto minestrone” dicendo ai ragazzi che ci leggono che siamo noi il futuro e che dovremmo iniziare a farci un po’ rispettare. Non dobbiamo diventare tuttologi a seconda delle richieste.  É bello avere anche una specializzazione che, a lungo andare, diventa sempre più motivo di qualità lavorativa.

Quali sono i valori e i disvalori che secondo te prevalgono nei giovani adulti di oggi?

Non saprei…  Ciascuno ha i suoi valori e disvalori a seconda del contesto culturale, educativo e familiare da cui proviene. In linea di massima ciò che spesso percepisco tra i giovani è l’insoddisfazione e questo alla nostra età è preoccupante. E poi c’è tanta fragilità. Spesso essa viene mascherata dall’arroganza o dalla violenza. E’ la fragilità che  porta ad agire sempre con la paura di sbagliare o di non riuscire. Questo, alla fine, in alcuni fa nascere la necessità di evadere con l’aiuto di droghe, alcol ecc..Pensandoci bene, ciò che sento mancare sempre di più è il senso di responsabilità, l’assumersi la responsabilità dei propri sbagli. É sempre colpa di qualcun’altro.

.Bisogna prestare attenzione allo spavento dei bambini, alla paura che può fare loro la vita, trattarla con cura; si dice che la paura può far crescere rachitico il cuore che pure, per respirare, pur di pulsare e seguitare a vivere, può accettare di gonfiarsi per esempio di dolore, se questo è tutto quello che ha.

Anna Marchesini (da Il terrazzino dei gerani timidi)

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In che modo la cultura (il cinema, il teatro, i libri, l’arte..) contribuiscono  a rendere migliore una persona?

In tanti modi! Spesso confrontarsi con storie diverse dalle nostre, in un modo o nell’altro, ci fa sentire meglio, ridimensiona le nostre problematiche o ci da una chiave di lettura diversa del problema. Entrare in empatia con un personaggio di un libro o di un film o di un copione porta in sé l’archetipo della catarsi, del sentirsi meglio, perché qualcuno sta espiando, per te, la colpa. La cultura, in tutte le sue manifestazioni, è necessaria per rendere non solo la persona ma la società migliore, purché rimanga una cultura sana e per sana intendo scevra e ripulita da inquinamenti politici e soprattutto economici. La cultura, per me, rientra nell’ambito dell’educazione civile di cui parlavo prima. Capisci bene che la tendenza attuale, soprattutto in Italia, non ha niente a che fare con la mia percezione. Ciò che conta oggi è fare soldi! La cultura, persino la formazione  scolastica, sembra sempre più un optional, un hobby da portare avanti, se si vuole, con le proprie risorse.

Secondo te, che cosa significa apprendere per tutta la vita? Perché è importante?

Non è importante, è NECESSARIO! L’essere umano è in continua evoluzione e con lui tutto ciò che lo circonda, dalla scienza, alla medicina, alla tecnologia e via dicendo. Voler continuare ad apprendere per tutta la vita è assolutamente necessario per mantenere gli occhi del bambino, la curiosità, l’entusiasmo, il mettersi in gioco, in discussione. Noi siamo in continuo divenire anche se, il più delle volte, ci affezioniamo all’idea che ci siamo costruiti di noi. Ed è lì che arriva il malessere, l’insoddisfazione, l’ansia, la voglia di scappare, evadere. Alla fine, evadiamo da noi stessi non dal contesto. Questo è un meccanismo che si innesca naturalmente e inconsapevolmente. C’è una cosa che, però, ci tengo a dire. Nonostante l’evoluzione generale, a cui siamo naturalmente portati, ci sono cose che, invece, è bene mantenere nello stato quasi primitivo. Sto parlando dei sentimenti e di tutto ciò che rientra nella sfera affettiva dell’essere umano. C’è un istinto di conservazione, un istinto d’amore proprio animalesco che è FONDAMENTALE ascoltare. Se lo sappiamo ascoltare, ma bisogna essere onesti in questo, alla fine è lui che ci salva.

C’è qualcuno che vorresti ringraziare?

Tante persone! Di solito commetto  l’errore di lasciarne fuori qualcuno, quindi sarò un po’ generica. Comincio dagli insegnanti che ho avuto. Ciascuno a suo modo mi ha regalato pezzi del proprio vissuto artistico e basi solide e fondamentali per la mia crescita. Poi ringrazio gli amici per il supporto che mi hanno sempre dato, tutti coloro che sono sempre presenti ai miei spettacoli, Valentina “la sorgente” con la quale siamo un fiume in piena di idee e che rappresenta uno di quei rari casi di sintonia scenica di cui parlavo prima.

A questo punto, approfitto per ringraziare Alessandro. Lui è stato, da subito, il mio primo fan, ha sempre creduto pienamente nel mio lavoro. Si è prodigato per aiutarmi perché io potessi realizzare, passo dopo passo, i miei obiettivi. Credo che parte del mio equilibrio provenga proprio dalla sua presenza solida e rispettosa. Grazie di cuore!

Infine ringrazio tutti coloro che scelgono di andare la sera a teatro per  respirare, insieme agli attori, la magia del QUI ED ORA. Il teatro senza il pubblico non può avere luogo. Siete necessari.

Ecco…detto ciò, passo e chiudo.