Osare la via della fede… con Natalia Pazzaglia

a cura di Antonella Cesari

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“Scrivere è trascrivere. Anche quando inventa, uno scrittore trascrive storie e cose di cui la vita lo ha reso partecipe: senza certi volti, certi eventi grandi o minimi, certi personaggi, certe luci, certe ombre, certi paesaggi, certi momenti di felicità e disperazione, tante pagine non sarebbero nate”.  

Claudio Magris

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Natalia Pazzaglia, trent’anni da poco compiuti,  é  originaria di Bolsena (VT). Giornalista free lance per la testata Bergamo Post, vive aTorino ma torna spesso sulle rive del suo lago che, attraverso gli occhi di un pescatore, racconta così … clicca qui

Attualmente Natalia frequenta la scuola Holden ed è l’ideatrice di un progetto particolarmente interessante ed ambizioso: “LA FEDE DEGLI ALTRI”…

Abbiamo sbirciato tra le anteprime e i primi contributi che Natalia ha condiviso sul web… interessante, sfidante  nella misura in cui osa la strada della verità… le auguriamo la perseveranza e uno sguardo profondo là dove “la fede, l’amore e la speranza camminano nella notte: esse credono l’incredibile, amano ciò che si sottrae e li abbandona, sperano contro ogni speranza. (Hans Urs von Balthasar)

La parola e il web a Natalia … 

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Chi è Natalia oggi? Prova a presentarti descrivendoti  attraverso tre aggettivi, tre verbi e tre emozioni. Perché li hai scelti?

Coraggiosa, testarda, impulsiva.

Rialzarsi, incuriosirsi, avvicinarsi.

Passione, empatia, speranza.

Ho scelto i primi tre aggettivi perché mi hanno spinto ad essere quella che sono, ovvero a cercare costantemente la mia strada, anche se questo ha voluto dire provarne e cambiarne varie. Hanno a che fare con i tre verbi, ovvero col fatto che tante volte sono caduta e poi, curiosa di altro (o di altri) mi sono avvicinata a nuove realtà e persone. Sono passionale perché quasi tutto quello che faccio nasce da un desiderio profondo. Mi riconosco molto nel termine “empatia”, perché provo sempre (talvolta con fatica, ma spesso anche con successo) a mettermi nei panni degli altri. La speranza è il motore della mia vita: speranza che le cose migliorino, che le persone cambino in meglio, che le situazioni difficili si risolvano. Certe volte la perdo, ma poi riappare… é la spinta  che mi mette in movimento! Non inizierei nessuno dei miei progetti se non avessi la speranza!

Ti proponiamo una citazione di Edgar Morin: “ …La cultura è fatta di realtà, di vita che scorre, di diversità ….La cultura che mi sono costruito  non si è mai chiusa in sé;  l’ho costruita muovendo dai problemi di tutti con le mie attitudini, con la mia curiosità. Non l’ho costruita per accumulazione, ma grazie alla diversità e alla pluralità di approcci….. non sommando ma mettendo a nudo i nodi conoscitivi strategici…” A partire da questa frase,  parlaci della  tua  esperienza universitaria in Italia e di mobilità all’estero ripercorrendo il tuo percorso di studi  … Quali sono  i ricordi  più belli e quali più brutti (se ci sono stati)?

Ho frequentato il liceo scientifico, poi laurea triennale in scienze politiche e specialistica in relazioni internazionali, con un semestre (free-mover, con esami non riconosciuti) nell’Università inglese di Warwick e un Erasmus in Francia, a Lille. Durante l’Università ho seguito un percorso di studi aggiuntivo, grazie a una borsa di studio del Collegio Lamaro Pozzani dei Cavalieri del Lavoro. Vi si accede con concorso dopo l’ultimo anno di superiori, esclusivamente per merito. Vengono offerti vitto, alloggio e corsi supplementari di lingue, economia e incontri settimanali con persone del mondo dell’imprenditoria e del lavoro. È il luogo dove più sono stata “sollecitata culturalmente” e ho incontrato gli amici di una vita. Tutti molto curiosi, intelligenti e diversi.

Bolivia

Uno dei ricordi più vivi (non saprei dire se bello o brutto) viene da un’esperienza di studio fatta nell’Università di Warwick, dove ho trascorso sei mesi al secondo anno di laurea triennale in scienze politiche. Nei “seminars” settimanali noi studenti (sei o sette per gruppo) lavoravamo con un docente (tutto per noi).

Ricordo lo stupore nel sentirmi dire dal docente:

“Non voglio sapere cosa ne pensa il filosofo XY sulla recessione. Voglio sapere cosa ne pensi tu, Natalia”.

In quel momento ho capito  quanto diversa è la prospettiva rispetto al sistema universitario italiano, dove (almeno quando e dove studiavo io, alla Sapienza) veniva richiesto di ripetere quello che altri pensavano di una certa questione. Mai la nostra opinione o il nostro pensiero.

Parlaci anche delle tue esperienze di lavoro/stage all’estero… In che modo ti hanno fatto crescere e maturare?  Dopo la specialistica in relazioni internazionali ho svolto due mesi di volontariato con le Suore di Madre Teresa a Calcutta. Successivamente  ho lavorato nove mesi negli Stati Uniti in una banca di sviluppo per il Sud America. Subito dopo sono tornata a lavorare a Roma per due anni (in innovazione sociale) e infine ho lavorato a Berlino per sei mesi, prima di tornare (un anno fa) in Italia e iscrivermi alla Scuola Holden. Ricominciare daccapo in un luogo sconosciuto è una prova: bisogna farsi conoscere, farsi apprezzare, devi costantemente far in modo che le persone capiscano chi sei e possano fidarsi di te, sul lavoro come nelle relazioni. Richiede, a mio avviso, tanta pazienza e apertura (che io non avevo ma ho imparato in quegli anni). Pazienza nell’accettare di “spiegarsi” ogni volta: far capire che si ha viaggiato e non si è lo stereotipo dell’italiano scansafatiche, che è possibile venire dal Bel Paese e non mangiare la pasta e neppure sentire la necessità di chiedere consiglio alla mamma su cosa mettere la mattina.

Costa d'Avorio

Quali sono stati i luoghi, le città  che hai abitato per motivi di studio o di lavoro? Ogni luogo ha un “suo fascino”, un suo “carattere”, una sua anima: quali sono i luoghi di cui ti sei innamorata e quelli invece che proprio non sei riuscita ad amare? Perché?  Roma, Birmingham, Lille, Washington Dc, Berlino, Torino. Il primo amore è stato per Lille, che posso spiegare prendendo in prestito una citazione dal film Bienvenue chez les ch’tis (che di Lille parla): “Quando vai nel Nord (della Francia) piangi due volte: la prima quando arrivi (io volevo andare a Parigi ma mi presero a Lille) e la seconda quando parti” (dovette letteralmente venire mia madre a recuperarmi).

Roma è la città che non sono riuscita ad amare, dalla quale sono scappata due anni fa (licenziandomi da un lavoro che mi piaceva e per il quale avevo tanto lottato). Roma è per me come uno di quegli amici ai quali vuoi un bene dell’anima ma con i quali non riesci a stare perché sai bene che si stanno rovinando. E non c’è (più) niente che tu possa fare per migliorare la situazione.

Marc Chagall, Sulla città, 1918 -Galleria Tretyakov, Mosca

Quale consigli daresti a coloro che intendono intraprendere un periodo di studio e /o di lavoro all’estero? Quali le opportunità? Quali i limiti? In base alla tua esperienza, con quale forma mentis é necessario avvicinarsi a queste  esperienze?

Provare, inizialmente con un periodo breve. Ci si può innamorare di quello che si trova e prendersi il rischio di lasciare casa, di cambiare per sempre gli occhi con i quali si guarderà e si tornerà a casa. Sulla forma mentis: essere pronti a pranzare alle 12, ad aspettare amici argentini che arrivano costantemente con 50 minuti di ritardo, senza chiedere scusa, prepararsi ai coinquilini del nord europa che accendono il riscaldamento solo quando fuori sono meno di dieci gradi. Abituarsi a perdere, capire che cadere non sempre vuol dire fallire. E che più si incontrano realtà diverse più ampia diventa la prospettiva su quello che si vuole.

Attualmente sappiamo che frequenti, a Torino, la scuola Holden. Parlaci un po’ della scuola e di questa tua esperienza. Come e perché sei arrivata a frequentarla?  Da quanto tempo la frequenti? Quali sono i tuoi obiettivi?

Ci sono arrivata un anno fa, per entrare in un ambiente che fosse culturalmente variegato e dove potessi “far crescere” la mia creatività.  Non ci sono entrata con degli obiettivi in testa: è una scuola senza regole, senza voti, senza esami. Ci sono entrata perché tutte le persone alle quali ho chiesto un parere (da ex-frequentanti) mi hanno risposto che erano stati due degli anni migliori della loro vita.

Sei già coinvolta in qualche esperienza professionale che ti permette di mettere in sinergia e valorizzare il percorso di studi che stai portando avanti?  Sto collaborando con una testata di Bergamo (Bergamo Post) come free-lance. Mi piacerebbe iniziare anche altre collaborazioni free-lance.

Come vedi il tuo futuro professionale? Progetti per il futuro? La verità è che ho molti momenti di sconforto, e devo- soprattutto in questo momento- farmi forza per motivarmi. Non sono pessimista, ma guardo le cose con realismo: l’Italia non è un paese facile, soprattutto in un mondo come quello nel quale sto iniziando a lavorare io (il giornalismo) che è legato ad élite chiuse e lenti avanzamenti di carriera. Sto facendo tutto quello che posso per lavorare sulle mie passioni, portando avanti progetti personali (come quello sulla fede) dai quali spero possano nascere altre collaborazioni.

Che cos’è per te, esattamente, la scrittura ? Un modo per tirare fuori la parte più profonda e nascosta di me. Uno strumento per dar voce agli altri.

Prova a raccontarci brevemente come nasce un racconto, un pezzo giornalistico ecc… dall’idea iniziale alla redazione finale … Che cosa provi quando hai terminato un pezzo giornalistico o narrativo? Dipende dal tipo di articolo o di progetto. Ce ne sono alcuni che nascono da una richiesta e con una deadline specifica (di solito molto stretta). Gli altri, quelli nei quali ho più campo libero e che magari nascono da miei interessi, terminano di solito con la soddisfazione di aver fatto chiarezza su una parte di me o del mondo, con la consapevolezza di aver provato a “unire i puntini” di un pezzo di realtà.

Hai uno stile di scrittura che senti particolarmente tuo e adatto alla tua sensibilità?

In questo momento sono ancora in fase di sperimentazione. Mi ritrovo sicuramente nei reportage narrativi, che uniscono le notizie e la ricerca della verità proprie del giornalismo con tecniche, stili e linguaggio tipici della narrazione (nata per attrarre verso i contenuti).

Quali sono i tuoi libri  e i tuoi scrittori di riferimento (classici e autori moderni)? Siddharta di Hermann Hesse, Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy, A Little Life di Hanya Yanagihara, Il Vangelo Secondo Gesù Cristo di Saramago.

Parlaci dei tuoi gusti  ed interessi musicali, letterari, film preferiti,  hobby … Bevo caffè al ginseng, non amo particolarmente la pasta, ma adoro la pizza. Sono scoordinata ma mi piace tantissimo ballare house e hip hop. Ho una scarsissima cultura musicale (se mi dite il titolo di una canzone probabilmente so qualche parola ma non mi ricorderò mai di chi è), mi piace disegnare, leggere, fare le bolle di sapone, impacchettare regali, organizzare cose, informazioni e progetti con post-it colorati.

Empatia interiorità  e silenzio…. Che cosa significano per te, nella tua vita personale e soprattutto in che modo si relazionano con la scrittura? Ogni mattina prego col Vangelo per venti minuti. Quando sono stressata (cosa che ultimamente capita spesso) mi siedo per terra a gambe incrociate e respiro in silenzio (o almeno ci provo). Ho fatto anni di volontariato e uno dei rimpianti di questo periodo è il fatto di non avere mai abbastanza tempo per le persone che mi stanno vicino (non necessariamente nel volontariato…Anzi).

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Si dovrebbe scrivere come si respira. Un respiro armonioso, con le sue lentezze e i suoi ritmi all’improvviso affrettati, un respiro naturale, ecco, il simbolo del bello stile.

Jules Renard

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Parlaci  del tuo progetto “LA FEDE DEGLI ALTRI”. Come, quando e perché è nato?

La fede è la questione della mia vita, un tema sul quale mi interrogo da più di dieci anni, da quel viaggio in Costa d’Avorio fatto dopo il mio primo anno di scienze politiche. Tornata a casa, ho sentito la necessità di capire cosa fosse la fede per me, quella stessa fede che, l’avevo visto in Africa, per tante persone è il fulcro della vita. Cattolica e praticante, ho deciso di fare una settimana di silenzio con gli esercizi spirituali dei padri gesuiti. Da allora la mia fede si è approfondita e rinforzata, in un percorso di meditazione e ricerca interiore. 

Tante volte mi sono state fatte domande sulla fede da persone che si meravigliavano vedendomi partire zaino in spalla per la Cambogia e poi dedicare ogni giorno venti minuti alla preghiera, senza smettere di andare a ballare, senza rinunciare alle punte dei capelli blu, senza dimenticare i miei sogni, che mi hanno portato, dopo un percorso in cooperazione internazionale, al giornalismo.

Quali sono gli obiettivi? Questo progetto nasce per parlare dei tanti significati che la fede può avere. Che si tratti di una monaca zen, di un ateo, di una suora di clausura, di una donna musulmana, di una teologa femminista o di un agnostico, ognuno condividerà la sua visione (o non visione) della fede.  Vorrei terminare 60 interviste entro febbraio, creare un sito web e dei contenuti audio e video per diffondere quello che mi è stato detto e le riflessioni che sono state fatte.

Parlaci del lavoro svolto fino ad oggi… interviste, realizzazione del blog e delle clips su youtube… Lavoro a questo progetto da maggio: ho realizzato più di trenta interviste, a giornalisti, scrittori, docenti, filosofi, monaci zen, sceneggiatori, sacerdoti, imprenditori, artisti, suore, imam, domandando cosa sia la fede per loro. Tra loro ci sono Ezio Mauro e Domenico Quirico, la teologa Simona Segoloni, i filosofi Stefano Semplici e Nicla Vassallo, la sociologa Chiara Saraceno, un referente del Vaticano e gli scrittori Davide Longo e Paolo di Paolo. Ho creato una pagina facebook dove ogni mercoledì pubblico un breve video con un estratto di un’intervista.

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Non siamo nient’altro che botti vuote in cui si sciacqua la storia del mondo.
O tutto è casuale, o niente lo è. Se io credessi nella prima affermazione non potrei vivere, ma non sono ancora convinta della seconda. (Etty Hillesum)

Una fede che non dubita è una fede morta. (Miguel de Unamuno)

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Una domanda provocatoria: …e la “tua” fede? In chi o che cosa riponi la tua fede? La mia fede nasce da un incontro, personale e particolare, con un amore grande. Un amore che mi ha accolto e accettata per quella che sono, nonostante la mia invidia, le mie imperfezioni, la mia ambizione. Un amore che non mi ha imposto delle regole ma che ha plasmato la mia vita grazie a una relazione nata da un incontro. Incontro che, nel mio caso, è stato con Gesù Cristo.

Ti definisci in ricerca, nel dubbio, nel buio, orientata verso la luce…? Sono una persona critica, che fa, si fa e farà sempre mille domande. La mia fede non cancella i dubbi, ma è una fiducia di fondo che mi accompagna, anche quando devo chiudere gli occhi e accettare che, come nell’amore per una persona, non potrò mai esattamente spiegare come è successo, è cresciuto e continua a segnare la mia vita.

Fede & Spiritualità: nel tuo percorso personale e alla luce delle interviste che stai realizzando in che modo sono in relazione? Come emerge anche dalle interviste, penso che la vera fede emerga sempre da una grande spiritualità, dal porsi le domande, dal mettersi in cammino a livello interiore.

Secondo te, i giovani sono interessati a queste tematiche? Perché? Ne sono incuriositi, soprattutto quando questi temi vengono presentati in modo diverso dagli stereotipi. Una ragazza con il vestito e i capelli lunghi che va a Messa la domenica non fa effetto. Io che ho le punte dei capelli azzurri, vado a ballare, non salto una messa, prego tutte le mattine, bevo vino rosso e appena posso mi prendo uno spritz con i miei amici atei di solito qualche domanda la suscito.

Quali sono i linguaggi e gli strumenti che permetterebbero un approccio più diretto e vero? Osare, fare domande, avere il coraggio di conoscere le persone a fondo. Sacerdoti che vadano al bar, che preghino con metodi innovativi, che mostrino Cristo nella luce dei loro occhi e nell’apertura con cui accolgono tutti.

Rob Gonsalves  – Creare  

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Ciascuno deve rispettare il mistero dell’anima del suo simile e astenersi dal penetrarvi con un’indiscrezione impudente e dall’utilizzarlo per i propri fini.

Martin Buber

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PER SOSTENERE IL PROGETTO "LA FEDE DEGLI ALTRI" ...

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“Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.
Essere felici e’ attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti. È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono. È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.
È avere il coraggio di dire: “Perdonami”. È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”. E’ avere la capacità di dire: “Ti amo”.
Che nelle tue primavere sii amante della gioia. Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza. E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo. Poiché così sarai più appassionato per la vita. E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza. Utilizzare le perdite per affinare la pazienza. Utilizzare gli errori per scolpire la serenità. Utilizzare il dolore per lapidare il piacere. Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai … Non rinunciare mai alle persone che ami. Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!” 

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Natalia Pazzaglia 

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