Jerome Bruner e l’apprendimento collaborativo

Jerome Bruner e l’apprendimento collaborativo

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foto by Gioacchino Bordo

QUESTIONI

Nel contesto attuale IMPARARE, IMPARARE AD APPRENDERE e IMPARARE AD ACCETTARE IL CAMBIAMENTO PER GESTIRLO sono le capacità critiche richieste a tutte le persone, a chi ricopre ruoli di maggiore responsabilità così come a chi è impegnato in attività operative.

L’esperienza insegna che la creazione di conoscenza, e quindi lo sviluppo dell’apprendimento, è maggiore nei momenti di crisi rispetto ai periodi floridi. È nei momenti di crisi che  si passa …

  • dall’elaborazione della conoscenza … acquisibilità, insegnabilità, trasmissibilità della conoscenza attraverso manuali, libri corsi
  • alla creazione della conoscenza …. cominciando a prendere in considerazione le intuizioni, gli indizi acquisibili attraverso l’utilizzo di metafore, immagini, la condivisione delle esperienze, il lavoro di team….

 

Dove si trova la conoscenza? I bambini di solito cominciano con il dare per scontato che l’insegnante possieda la conoscenza e la trasmetta alla classe. Se si creano le condizioni opportune, imparano presto che anche altri componenti della classe potrebbero possedere delle conoscenze, e che queste conoscenze possono essere condivise. (Naturalmente lo sanno fin dall’inizio, ma solo riguardo ad argomenti spiccioli.) In questa seconda fase, la conoscenza esiste nel gruppo – ma in modo inerte. E’ possibile allora vedere la discussione di gruppo come un modo di creare conoscenza invece che semplicemente come un modo per scoprire chi possiede quali conoscenze?

C’è un ulteriore passo da compiere, che ci porta a toccare uno degli aspetti più profondi della conoscenza umana. Se nessun membro del gruppo “sa” la risposta, dove si può andare a “scovarla”? E’ il balzo che porta a concepire la cultura come un magazzino, come un deposito di attrezzi o qualcosa di simile. Esistono cose note a tutti gli individui (più di quante essi stessi sappiano); più cose ancora sono conosciute dal gruppo possono essere scoperte tramite una discussione all’interno del gruppo; e molte più ancora sono immagazzinate in qualche altro posto – nella “cultura”, per esempio nella testa delle persone più colte, nei manuali, nei libri, nelle mappe e così via. Per definizione, praticamente nessuno in una cultura sa tutto quello che c’è da sapere su di essa. E allora cosa dobbiamo fare quando non sappiamo come andare avanti? E quali sono i problemi che incontriamo nel reperire la conoscenza che ci serve?
Se sappiamo rispondere a questa domanda siamo sulla buona strada per capire cos’é una cultura. Non ci vorrà molto perché un bambino cominci a capire che la conoscenza è potere, o che è una forma di ricchezza, o che è una rete di sicurezza.

, La cultura dell’educazione, 1997, Feltrinelli, Milano, pagg. 64-65

CHI È JEROME BRUNER

Jerome Bruner, cento anni compiuti il primo ottobre scorso, è considerato l’ultimo grande padre fondatore della psicologia moderna, erede nello stesso tempo di psicologi come Piaget e Vygotskij e di psicoanalisti come Freud e Jung. Con la sua attività di ricerca ha contributo agli sviluppi della psicologia dell’educazione e della didattica. Nato a New York il 1° ottobre 1915,  ha conseguito il B.A. alla Duke University (1937), ed il dottorato alla Harvard University (1941). Studioso di fama internazio­nale, notissimo agli operatori scolastici per i contributi offerti alla comprensio­ne dello sviluppo infantile, condusse i suoi primi studi sulle conseguenze del dopoguerra nella psicologia sociale e successivamente sul processo percettivo e sull’influenza dei fattori sociali.

“ SOMIGLIO PIÚ AD UNA VOLPE CHE AD UN PORCOSPINO"

A  proposito del suo percorso di ricerca  Jerome Bruner scrive:

“Se guardo indietro alla mia fanciullezza, non vedo alcuna continuità con tutto il resto della mia vita. C’ è poco o niente in essa che abbia potuto indurre qualcuno a pensare ch’io sarei diventato un intellettuale, un professore universitario e, tanto meno, uno psicologo…. Fu una fanciullezza alla quale non mancarono né gli importanti “modelli”, né i traumi sul tipo di quelli che nell’opinione corrente sembrano destinati a lasciare profonde e durature cicatrici. Tuttavia queste importanti figure della fanciullezza non costituirono i modelli della mia vita, salvo, forse, per qualche aspetto del suo stile.  E anche il trauma d’esser nato cieco (recuperai la vista  solo dopo aver compiuto il secondo anno) sembra non abbia prodotto alcuna evidente compromissione, anche se in qualche modo deve aver lasciato il suo segno…..La mia infanzia ebbe inizio in un quartiere residenziale alla periferia di New York, abitato da persone della media borghesia; ero il più piccolo di quattro fratelli in una famiglia ebraica formalmente osservante e sono nato nel 1915…..

Dopo la morte di mio padre, avvenuta nel 1928, mia madre iniziò i suoi spostamenti.. Prima che i trasferimenti avessero termine dovetti frequentare sei scuole medie nell’arco di quattro anni….

Non sono un’ottimista (la mia paura della perdita come fatto inevitabile è troppo grande per avere quel conforto). Credo però profondamente  nel potere di una logica concreta che cambia il nostro modo di fare le cose, di pensarle e perfino di sentirle. La maggior parte di quello che sono riuscito a fare nel campo della “riforma” scolastica e in quello per una migliore assistenza dei giovani, riflette il convincimento che la dimostrazione di ciò che è possibile fare finisce col modificare quello che uno vuol fare… Ricordo l’ammirazione che provai quando per la prima volta sentii mio padre dire: “Meglio accendere una sola candela che maledire l’oscurità”. Credo che l’esistenza di una possibilità sia il supporto della speranza e che la speranza sia una componente essenziale della nostra vita come lo sono stati gli utensili per quella della nostra specie…. per questo assomiglio di più ad una volpe che a un porcospino, cioè a uno che preferisce conoscere più cose piuttosto che una sola, anche se importante…

Jerome Bruner da “Alla ricerca della mente. Autobiografia intellettuale” Ed.  Armando 1997

PER ORIENTARSI
  • La motivazione ad apprendere qualcosa di nuovo è sufficiente a garantire che ciò avvenga?
  • Quanto influiscono nel processo di apprendimento il contesto in cui si apprende, le rigidità didattiche, i condizionamenti esterni?
  • Bruner ritiene che considerare la volontà di apprendere come una motivazione spontanea può essere problematico quando il contesto, le rigidità didattiche, i condizionamenti esterni impediscono l’espressione della curiosità, del bisogno di competenza. Quali strategie è possibile attuare?
IL CONTRIBUTO DI BRUNER SUI TEMI DELL’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI NEI CONTESTI NON FORMALI E INFORMALI

Negli ultimi anni,  le  teorie di Bruner sull’apprendimento autonomo e sull’apprendimento  basato sulla risoluzione dei problemi ( problem solving),  hanno suscitato  un particolare interesse,  rivelandosi  significative anche   nell’ambito  dell’educazione degli adulti e del lifelong learning.

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Scrive Jerome Bruner 

“La cultura plasma la mente, ci fornisce l’insieme dei mezzi attraverso i quali costruiamo, non solo il nostro mondo, ma la nostra concezione di noi stessi e delle nostre capacità”

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Questo modo di concepire l’apprendimento  va ben oltre la scuola, poiché l’educazione, la stessa crescita intellettuale, l’acquisizione dei saperi e delle conoscenze, si possono realizzare nei contesti più diversi, nei quali gli individui si sforzano insieme di attribuire un significato e dare un senso agli avvenimenti di cui sono protagonisti, per imparare nella vita e nel lavoro.

L’immagine dell’uomo psicologico  proposta da Bruner è quella di un modello di uomo “integrato”, quale   soggetto che conosce il mondo e se stesso, i cui processi cognitivi e affettivo-motivazionali vengono visti funzionare tutti insieme, come accade nella realtà quotidiana: giocando con le parole, dice che la mente umana “persenpensa” (per­fink), per indicare l’unitarietà di perce­zione (perception), emozione (feeling) e pensiero (thinking).

Bruner individua così alcuni principi che stanno alla base della psicologia culturale e ne illustra le conseguenze per l’educazione. Essi assumono un particolare rilevanza anche per le conseguenze nell’ambito dell’educazione degli adulti e dell’apprendimento lungo tutto il corso della vita.

APPRENDIMENTO RECIPROCO & INTERAZIONE

L’apprendimento viene  definito da Bruner come un processo collaborativo, poiché si realizza in uno spazio “interpsichico”, cioè in uno spazio ricco di rapporti interpersonali, all’interno del quale si elaborano la prime competenze che, in un secondo momento, vengono trasformate sotto forma di pensiero secondo un percorso logico. L’intelligenza non è, così, situata nella “testa” del soggetto, bensì è collocata in un contesto storico e culturale ed è distribuita negli strumenti culturali e nelle risorse umane presenti all’interno dello stesso contesto socio-culturale. Nelle teorie di Bruner si denota come la cultura, attraverso le risorse che un preciso contesto culturale trasmette, come le credenze e il modo di pensare, influenzi l’educazione. Dunque l’apprendimento è definito, soprattutto come un’attività comunitaria, infatti, è proprio all’interno di una comunità di individui che il bambino vive situazioni cognitive che lo inducono a progredire nei propri livelli d’apprendimento.

PRINCIPIO DELL'INTERAZIONE

È soprattutto attraverso l’interazione con gli altri che i bambini scoprono cos’è la cultura e come concepisce il mondo. A differenza di tutte le altre specie, gli esseri umani insegnano deliberatamente ad altri esseri umani in situazioni diverse da quelle in cui verranno utilizzate le conoscenze apprese […]. Esistono molte culture indigene che non praticano un insegnamento deciso a tavolino o decontestualizzato come il nostro. Ma il “raccontare” e il “mostrare” sono patrimonio universale del genere umano quanto il parlare. […] La tradizione pedagogica occidentale rende poca giustizia all’importanza dell’intersoggettività nella trasmissione della cultura..

Torniamo dunque a porci una domanda apparentemente ingenua ma fondamentale: qual è il modo migliore di concepire una sottocomunità che si specializza nell’apprendimento fra i suoi membri? Una risposta ovvia potrebbe essere che è un luogo in cui, fra l’altro le allieve e gli allievi si aiutano a vicenda nell’apprendimento, ciascuno secondo le proprie capacità. E’ evidente che questo non esclude la presenza di qualcuno che svolge il ruolo di insegnante. Significa semplicemente che l’insegnante non ha il monopolio di questo ruolo perché anche gli allievi contribuiscono a creare le “impalcature” che servono di supporto agli altri. […] Quando l’obiettivo è la padronanza di qualcosa, vogliamo che gli allievi acquisiscano una buona capacità di giudizio, fiducia in se stessi e che lavorino bene gli uni con gli altri. Sono competenze che non si sviluppano in un regime di “trasmissione” a senso unico.

tratto da  La cultura dell’educazione  di Jerome S. Bruner, 1997

COMPETENZA NARRATIVA

….passerò … direttamente a un argomento più generale: la modalità di pensiero il modo di sentire che aiuta i bambini (e in generale tutte le persone) a creare una visione del mondo in cui possono immaginare, a livello psicologico, un posto per sé, un mondo personale. Sono convinto che l’invenzione di storie, la narrazione, adempia a questa funzione, e ne voglio parlare […]. Molto probabilmente la narrazione ha la stessa importanza per la coesione di una cultura che per la strutturazione di una vita individuale. Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancora più difficile dall’enorme aumento dei movimenti migratori. Non è facile per quanto multiculturali possano essere le nostre intenzioni aiutare un bambino di dieci anni a creare una storia che lo inserisca nel mondo, oltre a quelli della sua famiglia e del suo quartiere, se è stato trapiantato dal Vietnam alla San Fernando Valley, dall’Algeria a Lione, dall’Anatolia a Dresda […]. Trovare un posto nel mondo, per quanto implichi l’immediatezza di una casa, di un compagno o di una compagna è in ultima analisi un atto di immaginazione […]. Una sintesi non è forse necessaria. Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità al suo interno. Se questa identità manca, l’individuo incespica nell’inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata. Sono in corso molti progetti, che toccano non solo la letteratura ma anche la storia e gli studi sociali, che portano avanti interessanti iniziative in questo campo.

tratto da  La cultura dell’educazione  di Jerome S. Bruner, 1997

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L’educazione è un’attività complessa  e deve aiutare i giovani a usare gli strumenti del fare significato e della costruzione della realtà

Jerome Bruner 

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