La prima cattedrale: Santa Maria “intus civitatem”

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a cura della dott.ssa Anna Laura

Direttrice del Museo  Civico Archeologico  “Pietro e Turiddo Lotti” – Ischia di Castro

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La storia recente dell’edificio religioso risale al 1997 quando un gruppo di lavoro composto  da rappresentanti di diversi enti individuò, nella zona sud ovest  del promontorio  dove anticamente sorgeva la città di Castro, la parte superiore di una delle absidi affiorare dal terreno e condusse una campagna di scavo per portare alla luce quella che oggi è identificabile con la parte sud-est del coro. La chiesa di Santa Maria, descritta dalle cronache come l’antica cattedrale castrense, posta nei pressi dell’omonima porta e indicata con l’appellativo intus civitatem per essere distinta dalle altre chiese dedicate alla Vergine poste al di fuori dell’abitato,  è ascrivibile tra gli esempi di architettura viterbese databili tra il Mille e il Millecento e come evoluzione di un  impianto sicuramente precedente.

“... AMATELA SÌ VULCI VOSTRA, MA NON SCORDATE LA MIA CASTRO...”

Al termine del volume edito nel 1957, risultato di anni di ricerche tenaci, passione per l’indagine storica, soprattutto per la storia della sua terra, l’Autore (Don Eraclio Stendardi) si rivolgeva all’allora Soprintendente alle Antichità dell’Etruria Meridionale Renato Bartoccini con queste parole: “Professore, Voi che amate tanto la vostra Vulci e del Castello del Ponte della Abbadia ne avete fatto un museo etrusco, amatela si  Vulci vostra, ma non scordate la mia Castro”.

Grazie ad una continua e proficua collaborazione con il Prof. Ferrante Rittatore Vonwiller, con il Prof. Luigi Cardini e con il nipote Turiddo Lotti, con i quali acquisisce dati elaborati nel presente studio, già al momento della pubblicazione delle “Memorie storiche della distrutta città di Castro”, viene evidenziata l’importanza del sito di Castro e del territorio castrense per l’ambiente accademico e per la ricerca scientifica storico-archeologica.  

Nel primo capitolo intitolato “Statonia”, vengono illustrate le scoperte più significative della facies preistorica, che mettono in risalto la grande entità culturale che tale civiltà sviluppò nella regione castrense, basti solo pensare al rinvenimento della necropoli eneolitica di Ponte San Pietro e di numerosi insediamenti in grotta, al quale l’Autore partecipò attivamente.

Di seguito l’obiettivo si sposta sulla realtà archeologica, il sito di Castro, che più interessa l’Autore, il quale con ricognizioni continue, poi con un’attenta  lettura ed interpretazione delle fonti storiche, stabilisce la centralità indiscussa per la storia, di questa realtà culturale, civile e territoriale. Diventa subito evidente, grazie all’analisi scientifica delle tracce archeologiche, certo, quella che all’epoca era consentita e che rimane attualmente base degli ulteriori traguardi di interpretazione e di comprensione, la relazione tra le vaste necropoli etrusche adiacenti la distrutta città di Castro e l’area stessa della città,  sicuramente per posizione ed impostazione morfologica di epoca etrusca. Sostenendone su dovute basi delle fonti l’identificazione con l’etrusca città di Statonia, l’Autore alimenta il dibattito sull’identificazione del centro etrusco, argomento ancora oggi al centro di attenzione.

E’ proprio grazie allo sviluppo della attività di ricognizione, che negli anni ’50 interessò l’area circostante l’altura della città, che i ricercatori  rilevarono la presenza di un’ ampia necropoli,  poi suddivisa in tre nuclei principali, nord ovest, nord est e centrale dal Rittatore, con l’interpretazione tipologica delle tombe e il recupero di alcuni corredi, che l’area della distrutta città di Castro viene identificata con l’area di un importante centro etrusco dell’entroterra vulcente.

Le rovine della città rinascimentale vennero interessate dall’opera  di rinvenimento scientifico per la prima volta dall’Ing. Scipione Tadolini nel 1960-1961.

Si identificò il sito del duomo di San Savino e venne riportata alla luce una enorme quantità di elementi della facciata della chiesa, che oggi purtroppo, a causa della continua spoliazione, vediamo ridotta in modo irreversibile. Parte della decorazione architettonica, i modiglioni dell’architrave e qualche altro elemento sporadico, sono attualmente esposti al Museo Civico di Ischia di Castro.

L’avvio delle campagne di scavo delle necropoli etrusche venne promosso nel 1964 dal Centro Belga di Studi Etruschi e Italici  e dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale.

Tale ricerca si protrasse fino al 1967 da parte dell’Istituto belga ed in seguito l’indagine venne sistematicamente attuata dalla Soprintendenza.

I risultati misero in evidenza l’importanza per tipologia delle tombe e ricchezza dei corredi, del nucleo più vicino al centro abitato, esteso sui “Poggi di Castro”, nell’area orientale, nel terreno di proprietà Sterbini, oggi proprietà del Comune.

E’ infatti in questa zona che vennero rinvenute le tombe più rappresentative per tipologia, a camera semplice con vestibolo a cielo aperto e lungo dromos di accesso, e per la eclatante preziosità dei corredi e delle decorazioni esterne, la tomba “della Biga”e la tomba “dei Bronzi”.

LA PRIMA CATTEDRALE: SANTA MARIA “INTUS CIVITATEM”

Nel luglio1997, dopo circa trenta anni dalla prima indagine archeologica all’interno della distrutta città di Castro, che localizzò e rinvenne il sito e parte del Duomo di san Savino e la Piazza Maggiore con i più importanti edifici della città, a seguito di una segnalazione di scavo clandestino, che aveva liberato una piccola parte di un edificio sulle cui pareti si notavano lacerti di affreschi,  venne avviata la campagna di rinvenimento archeologico della chiesa di Santa Maria “intus civitatem”.

Al momento dell’intervento di indagine e recupero, il terreno dell’area interessata risultava parzialmente coperto da vegetazione di sottobosco, proponendo evidentissime le tracce dello scavo clandestino che aveva messo in luce parte delle strutture di un edificio che una prima analisi formale, soprattutto l’interpretazione dei personaggi affrescati, permetteva di interpretare essere a carattere sacro. Si trattava infatti dell’immagine di un Santo Vescovo con mitria e pastorale, e della raffigurazione di una Madonna con capo velato ed il Bambino in braccio e, altro indizio significativo, la tipologia absidata della struttura, che risultava tamponata e monumentalizzata da un’edicola di travertino.

La documentazione scritta,  naturale complemento al dato strutturale archeologico, documenti d’archivio e lo studio di piante topografiche della città di Castro, hanno permesso una più precisa identificazione dell’edificio con la chiesa di Santa Maria  citata nelle fonti come “intus civitatem”. Infatti la localizzazione della struttura all’interno della città, nelle vicinanze della porta di Santa Maria, in seguito detta porta Murata, coincide con l’ubicazione di una chiesa collocata nella stessa area, contigua al convento di San Francesco, contrassegnata con il n. 9 nel lato sud della città, nella planimetria di Castro eseguita da Carlo Soldati nel 1644, giacente presso l’Archivio di Stato di Parma. L’ulteriore decisiva fonte storica che ha permesso ed accompagnato l’atto della scoperta e dell’interpretazione del dato archeologico, è costituita dalla descrizione della chiesa contenuta nella relazione di una visita pastorale compiuta  dal vescovo di Castro Mons. Giovanni Ambrogio Caccia nel 1603. In questo documento appare la denominazione Santa Maria con l’appellativo “intus civitatem” cioè dentro le mura cittadine. Ciò è dovuto al fatto che le altre chiese dedicate al culto mariano erano tutte extraurbane.

Nel documento il vescovo Caccia nomina questa chiesa, come una volta, cattedrale della città. In essa era venerata la statua della Beata Vergine che veniva portata in processione nella festa dell’Assunzione. L’Ordine Francescano di Castro ebbe per lungo tempo l’uso della chiesa, e nel  1577 venne costruito attiguamente un complesso conventuale di piccole dimensioni, privo del chiostro e di particolari comodità. Nel 1600, a seguito del crollo del tetto i francescani l’abbandonarono definitivamente. Successivamente fu restaurata dalla Società degli Artigiani, di cui  divenne sede.

Da questa prima campagna di scavo, venne liberata parte del monumento corrispondente a meno di un quinto dell’intero edificio, praticamente il braccio destro del transetto, un vano di circa 32 mq, concluso da un’abside semicircolare tamponata.

La chiesa presenta diverse fasi costruttive la cui prima collocazione cronologica risale al sec. XIII, ne fanno fede la tipologia dell’impianto planimetrico a croce latina, con l’organizzazione della zona presbiteriale conclusa in tre absidi, la regolarità dei ricorsi dell’ordito murario, gli elementi ceramici inseriti nella muratura della volta, inquadrabili tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XIV. Una successiva fase è da ritenersi la tamponatura dell’abside e la monumentalizzazione dell’altare, con edicola in travertino, risalente all’epoca rinascimentale, XVI secolo. Sull’architrave dell’edicola un’iscrizione ci riporta il nome di Girolamo Spontoni, probabilmente il committente del restauro. 

Lungo le pareti, corrono lacerti di affreschi che in origine dovevano coprirne l’intera superficie, inquadrabili cronologicamente nell’arco XVI-XV secolo, ex-voto con immagini di santi e della Vergine. Nella giacitura del crollo, sono stati rinvenuti numerosi frammenti di affresco e conci della muratura con lacerti di grande interesse artistico. La scoperta si rivelò estremamente importante dal punto di vista storico-artistico, trattandosi dell’unica emergenza architettonica ancora in piedi visibile tra le rovine della città, cosa che rese inevitabile la necessità di proseguire lo scavo per liberare l’intero edificio. I risultati in seguito, hanno superato le aspettative.

Nel 2002 la Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio dela Lazio, con la facoltà di architettura dell’Università di Reggio Calabria, progettarono uno studio particolareggiato dell’edificio, con l’intero svuotamento, recupero dei materiali architettonici ed artistici significativi, consolidamento degli affreschi, lavoro recentemente conclusosi.

La ricchezza dei materiali e la monumentalità dell’impianto riportati alla luce attribuiscono alla chiesa non solo un fascino particolare, ma costituiscono un punto di riferimento fondamentale per la storia e l’arte castrense.

Soprattutto la decorazione pittorica delle pareti, con immagini, soprattutto mariane, di spessore stilistico di pregio. Soprattutto il dipinto del catino absidale, dove campeggia l’immagine della Vergine racchiusa in un ovale, tecnicamente “in mandorla”, portata in gloria da stuoli di angeli.

IL MUSEO CIVICO "PIETRO E TURIDDO LOTTI" DI ISCHIA DI CASTRO

Reperti della città di Castro nell’attuale allestimento museale 

Nelle sale del museo sono esposti i reperti  recuperati nella distrutta città di Castro. Il gruppo di materiali castrensi disposto e allestito in rapporto agli edifici ed alle aree urbane di appartenenza testimonia lo svolgimento della storia della città dal periodo romanico al Rinascimento maturo. La capitale farnesiana é riconosciuta, oggi più che nel passato, un sito di fondamentale valenza culturale del nostro territorio. L’entità e la qualità dei materiali esposti, elementi decorativi, elementi architettonici, affreschi, ne testimoniano la ricchezza e rafforzano soprattutto l’esigenza che un tale patrimonio venga sempre meglio protetto e valorizzato. 

Raccolti presso il Museo Civico di Ischia di Castro, si possono ammirare le ceramiche, acrome ed in maiolica,  in particolare una ciotola murata nel corpo di un concio tufaceo (XV sec.), bell’esempio di maiolica decorativa monumentale, ed una discreta quantità di conci di tufo con lacerti di affresco alcuni dei quali di notevole mano.

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Allo stato attuale, la chiesa di Santa Maria risulta essere l’edificio più rappresentativo della distrutta città di Castro, in grado di portare il visitatore ad immaginare una città precedente alla fase rinascimentale, emblema di un periodo, il medioevo, finora non sufficientemente attestato e studiato nell’ambito della cronologia urbanistica ed architettonica della città.

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Alle Istituzioni ed a tutti noi il compito di disporre azioni di tutela, conservazione e promozione di un patrimonio culturale che si sta svelando sempre più prezioso.

VISITA AL MUSEO/ DA NON PERDERE ...
LA TRINITÁ

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La Trinità, Ignoto, XVI secolo

Castro: Chiesa di S. Maria “Intus civitatem»”.

Affresco e tempera su muro Alt.200; largh. 150.

Dipinto murale raffigurante la  Trinità. Trafugato dal suo sito orìginario da scavatori clandestini, proviene dalla chiesa dì S. Maria “intus civitatem” nell’antica città di Castro.

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Il dipinto con la raffigurazione della Trinità risponde al tipo iconografico dell’Eterno assiso che tiene il Cristo in croce esposto frontalmente con la colomba dello Spinto Santo allocata sull’asse centrale tra le due figure. Tale modello iconografico di un tema così discusso come quello della rappresentazione del dio uno e trino, nasce nel XII secolo a S. Denis su impulso dell’abate Suger e prende il nome di Trono della Grazia, la cui fonte testuale è in Isaia (16,5), ripresa poi da Paolo nella Lettera ai Ebrei (4,16). Il motivo ha un successo clamoroso e viene replicato per secoli sia dai più modesti interpreti periferici sia dai maestri di alta fama quali Masaccio – il primo che rappresentò il tema su scala monumentale- Bellini, Beccafumi, Dürer.

(scheda di Fulvio Ricci, da Il Museo civico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia di Castro- Progetto editoriale I musei del Lazio ed il loro territorio- Approfondimenti/3 – [pag. 86-87] Elio De Rosa Editore)

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L’interpretazione castrense  di pregevole fattura, si pone in evidenza per la massa corposa della figura del Padre, l’Eterno, dai forti caratteri fisionomici definiti dalla chioma e dalla barba folte e candide, stagliato su uno sfondo luminoso e assiso su un trono dì nuvole che sfumano su una scala cromatica dal bianco al violaceo. Il Padre in atto di sostenere il Cristo crocifisso, raffigurato nell’interpretazione iconografica mette in rilievo l’umana condizione del Cristo Patiens. Tra le due figure si staglia la colomba dello Spirito Santo sul seno di Dio Padre. La collocazione cronologica del dipinto, dati i caratteri stilistici e dati documentali, si può far risalire alla metà del XVI secolo nell’ambito della rinascita farnesiana della città, quale capitale del Ducato omonimo.

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La documentazione fotografica è stata gentilmente concessa  dalla dott.ssa Anna Laura direttrice del Museo  Civico Archeologico  “Pietro e Turiddo Lotti” – Ischia di Castro

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