L’arte del filo a Palazzo Monaldeschi (Bolsena)

CONSERVARE/ BELLO & BEN FATTO... LA PERFEZIONE LEGATA AD UN FILO

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In questo momento di incertezze e di ripensamenti,  in una ricerca affannosa di valori e testimonianze passate, si riscopre l’arte al femminile nella sua forma più peculiare: il merletto e il ricamo come tracce della nostra storia da riprendere e da riproporre alle generazioni future, come un filo sottile che lega il passato, attraverso il presente, orientato verso il futuro.  Siamo noi i custodi di una ricchezza da trasmettere intatta ai nostri figli.

Bolsena Ricama 

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Nel  2013, al primo piano di Palazzo Monaldeschi, è stata allestita una sezione museale dedicata alle arti del filo. A rendere possibile il progetto,  la passione e la professionalità della professoressa Maria Vittoria Ovidi, direttrice della scuola Bolsena Ricama.  L’abbiamo incontrata a Palazzo Monaldeschi e le abbiamo rivolto alcune domande…

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Perché a Bolsena una sezione museale dedicata alle arti del filo? La storia delle arti del filo a Bolsena ci consegna una tradizione che arriva da lontano.  Era il 1773 quando la signora Cecilia Cocchi fondava un educandato per ragazze a Palazzo Cardinal Teodorico. Poco più di un secolo dopo, nel 1889, il palazzo passò alle Suore del SS. Sacramento. Venne mantenuta la struttura della scuola di ricamo fino agli anni Sessanta del Novecento, quando, per mancanza di personale specializzato nel settore, fu costretta a chiudere. 

Se vogliamo pensare seriamente al futuro del merletto e delle arti del filo, io credo che lo si debba immaginare legato alla tradizione, ancorato alla realtà e proiettato verso il futuro.

Quando parlo di tradizione mi riferisco ai musei. Dobbiamo dare  spazio alla testimonianza antica delle merlettaie che ci hanno preceduto, dare voce a chi non c’è più ma ha lasciato un messaggio. La  testimonianza riguarda la conservazione dei manufatti ma non solo. Una delle emergenze è sicuramente  la mancanza di biblioteche specializzate in questo settore. Abbiamo perduto molto tempo e non solo. 

Penso per esempio a Fulvia Zerauscheck Lewis,  grande collezionista di merletti che ha messo insieme oltre duemila campioni di merletto.  Alla sua morte  questo immenso patrimonio è stati divisi tra i quattro figli, di cui uno abita a Bolsena. Una parte di questa eredità,  attraverso la casa d’aste di Christie’s,  è finita sparsa in tutto il mondo. Un’altra parte è andata al Mart – Il museo di arte moderna e contemporanea  Rovereto e non ancora esposta. Una parte è rimasta collezione privata di una delle figlie e un’ultima parte riguarda  la collezione di trecento volumi  in inglese, francese, italiano  dedicati al merletto e alla sua storia. Il contributo italiano attraverso un lavoro sistematico e organizzato  non è particolarmente  ricco se si esclude  quello di  Elisa Ricci e qualche altro piccolo contributo.

Da parte mia ho cercato di lavorare in questa prospettiva. Nel 2004 è stato pubblicato il mio primo volume L’arte del ricamo e del Merletto in Europa … un fazzoletto per la sposa… seguito poi nel 2007 dal volume Il merletto di Orvieto e l’Ars Wetana. Cento Anni di Storia.

Sul nostro territorio, quali sono i manufatti che andrebbero assolutamente salvati? Si trovano prevalentemente nelle chiese. Non esistono grandi collezioni private  ma nelle chiese ci sono dei capolavori  completamente abbandonati… Teniamo conto che il merletto e il ricamo sono stati per anni dominio assoluto degli abiti liturgici. Attraverso la liturgia era trasmissibile la bellezza del ricamo in oro, il ricamo che si rifaceva alle vecchie tradizioni di pittura ad affresco. Ci sono tanti collegamenti tra gli affreschi e gli abiti liturgici, questo perché gli affreschi  si trovavano all’interno delle chiese e gli abiti liturgici ne venivano ispirati. Se invece  parliamo del merletto di Orvieto sono stati i bassorilievi del Maitani ad ispirarli!

Come è organizzata la sezione museale dedicata alle arti del filo  a Palazzo Monaldeschi? Il percorso proposto permette di  ripercorrere la storia dell’antico Filet di Bolsena e dell’Ars Wetana (la tradizione del merletto di Orvieto). Uno spazio espositivo che documenta una tradizione che arriva da lontano.

Era il 1773 quando la signora Cecilia Cocchi fondava a Bolsena un educandato per ragazze a Palazzo Cardinal Teodorico. Poco più di un secolo dopo, nel 1889, il palazzo passò alle Suore del SS. Sacramento. Venne mantenuta la struttura della scuola di ricamo fino agli anni Sessanta del Novecento, quando, per mancanza di personale specializzato nel settore, fu costretta a chiudere. 

In continuità con questa tradizione, l’ideazione, la progettazione  tematica degli spazi espositivi e la raccolta dei manufatti ha avuto il sostegno e la collaborazione da parte dell’Istituto delle Maestre Pie Filippini di Bolsena.  Ancora oggi, le consorelle non si stancano di proporre e tramandare  alle giovanissime  la bellezza delle arti del filo…  (clicca qui)

Il percorso si apre con i disegni utilizzati per i manufatti in merletto di Orvieto. L’Ars Wetana ha avuto una grande importanza da un punto di vista storico e una diffusione capillare sul territorio. Il merletto di Orvieto nasce nel 1907,  quando la Contessina Maria Vittoria Faina crea un comitato di Patronesse che si impegnarono  a promuovere, a livello locale, la lavorazione del merletto d’Irlanda. Il padre, Eugenio Faina, Senatore del Regno d’Italia, al ritorno da un soggiorno in Irlanda porta alla figlia dei campioni di filato e dei modelli di Merletto. La giovane, molto sensibile ad idee filantropiche, intuisce le difficoltà delle donne, soprattutto tra le famiglie contadine del territorio e, seguendo l’esempio di altre nobildonne italiane impegnate nella creazione di scuole, trova nel merletto una possibilità di riscatto della condizione femminile. Fonda insieme alla cugina Vittoria Danzetta ed altre aristocratiche orvietane un patronato per dar lavoro alle donne del popolo.

Il disegno veniva riportato, ad inchiostro di china, su stoffa grezza, probabilmente tessuta in canapa e cotone (clicca qui)

La tecnica del merletto irlandese  si prestava facilmente alla divisione e alla distribuzione del lavoro tra più merlettaie. Ogni merlettaia poteva fare una componente che veniva  successivamente assemblata dalla capo merlettaia, fino ad arrivare al lavoro finito. Intorno agli anni ’20, una delle patronesse riuscì ad avere accesso ai  cartigli del Museo dell’Opera del Duomo, risalenti 1320 e riconducibili  a Lorenzo Maitani, realizzati per i bassorilievi della facciata del Duomo. Da questo momento il merletto di Orvieto troverà nei cartigli del Maitani la sorgente e la fonte di ispirazione principale.  Questa è, secondo me, una delle caratteristiche fondamentali che va assolutamente difesa. La lavorazione viene ad acquisire una identità tutta sua, in termini di riferimenti storico-culturali, sia di tecnica della lavorazione che è molto particolare. Le fonti storiche ci documentano che tra la prima e la seconda guerra mondiale, erano quattromila le donne impegnate nell’Ars Wetana sul territorio di Orvieto, inteso come comprensorio a confine tra Lazio e Umbria.

La realizzazione del manufatto, storicamente realizzato attraverso la suddivisione del lavoro,  prevede  infatti tre step ben precisi: la lavorazione dell’ornato (si tratta dei soggetti principali: foglie, fiori, animali, tralci..) e  la lavorazione della rete di  fondo. Successivamente si passa al  lavoro di rifinitura, dove è la maestra merlettaia ad assemblare le varie parti. Infine si passa alla stiratura, particolarmente elaborata. Si inamida e si stira da rovescio punzonando con dei ferri fatti proprio per questo intervento: serve per alzare i petali, le foglie, gli acini ricamati.  Quando la stiratura sarà ultimata, il merletto dovrà assomigliare ad un bassorilievo.  

Questo secondo me è il legame più forte tra Orvieto, la facciata del Duomo e il merletto attuale!

Duomo di Orvieto- Dettaglio 

Queste tre fasi sono precedute dalla scelta dei soggetti da disegnare. Il lavoro viene eseguito con un uncinetto sottilissimo che caratterizza la lavorazione e la rende abbastanza unica in Italia e in Europa, dove domina la lavorazione del merletto ad ago e a fuselli. Un’unica altra eccezione è quella della lavorazione ad uncinetto  del merletto del lago Trasimeno che si rifà alla tradizione irlandese. A caratterizzare il merletto di Orvieto sono i soggetti ispirati alla simbologia medievale dell’arte sacra, dove trovano un posto privilegiato, oltre ai fiori (margherite, primule, rose…) e alle foglie d’acanto, i tralci di vite, anche “le bestie” (grifoni, le colombe…).

Esposizione tableau – Moduli di ornato recuperati dai fondi dell’Ars Wetana (clicca qui)

Il filo utilizzato per la realizzazione dei manufatti veniva prodotto in Umbria, probabilmente nella zona di Città di Castello. Veniva chiamato “filo umbro”, appositamente studiato per la lavorazione del merletto di Orvieto. Diversificata era la tipologia e la grandezza del filo. Si andava dal 100 al 120 fino al 250 al 400, la meta di un capello. Le merlettaie erano in grado  di lavorare con uncinetti dimensionati alla misura del filo, a seconda della parte del  lavoro da realizzare (ornato o rete di fondo).

TRASMETTERE L’ARTE DEL FILO/ CON  BOLSENA RICAMA… intervista a  ALESSANDRA POLLEGGIONI  clicca qui 

E per quanto riguarda l’Antico Filet di Bolsena? Non poteva certamente mancare uno spazio dedicato all’Antico Filet di Bolsena. Il filet a mòdano é una tecnica presente soprattutto nei territori lacustri o marini e che richiama la trama e la lavorazione delle reti da pesca. Oggi, tanto il merletto che le reti da pesca vengono realizzate attraverso processi industriali. Nel metodo tradizionale artigianale della lavorazione della rete a filet e della rete da pesca ci sono molte affinità. Noi utilizziamo l’ago mòdano, i pescatori lavoravano la rete con alcuni strumenti ricavati dalle canne del lago. Una volta realizzata la rete, i pescatori la gettano in acqua. Le merlettaie, ancora oggi, la stendono su telaio e la ricamano. La rete lavorata a mòdano è molto versatile, ci si può fare di tutto… inserti, tende, tovaglie, bordure per asciugamani, bordure per fazzoletti, colletti polsini tovagliati…

Si esegue la rete di fondo, usando un appoggio, un ferretto, un ago a due crune aperte, chiamato “modano”, per avvolgere il filo. Si inizia dalla prima maglia per poi continuare a ventaglio con quadratini di rete fermati da un nodo, con aumenti laterali. La rete viene così montata su un telaio dovei inizia la lavorazione, seguendo uno schema prescelto.

La documentazione storica dell’antica scuola di ricamo di Bolsena riporta che fu la merlettaia Neve Zucchi che, negli anni cinquanta, iniziò a produrre lavori di filet lavorando sulla rete  realizzata dai pescatori.  Da questi primi lavori si è passati alle sperimentazioni con filo oro e fili colorati. Quando, agi inizi degli anni ’90  ho fondato la scuola Bolsena ricama, Neve Zucchi è stata tra le prime insegnanti di filet. La maestra Daniela Labardi è stata una sua allieva.   

TRASMETTERE L’ARTE DEL FILO/ L’IMPEGNO DI BOLSENA RICAMA… intervista a  DANIELA LABARDI clicca qui 

Perché è importante venire a visitare la sezione museale delle arti del filo a Bolsena? L’esposizione propone manufatti realizzati dalle allieve della scuola Bolsena Ricama, premiati in occasione di manifestazioni nazionali e internazionali. Non mancano antichi manufatti (inizi del ‘900) donati alla fondazione museale e realizzati da merlettaie del territorio. Sono pezzi particolarmente interessanti perché mettono in evidenza gli intrecci, la continuità e le differenze tra la tecnica del merletto d’Irlanda, del  tombolo e del merletto di Orvieto.

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L’augurio è che possano esserci anche in futuro lasciti di manufatti alla sezione museale…Sarebbe veramente un contributo prezioso per il riconoscimento e la valorizzazione della cultura locale, della storia delle donne e delle arti del filo… un contributo per educare le nuove generazioni alla bellezza, all’armonia al gusto delle cose belle e ben fatte…

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BUONE PRATICHE DI FORMAZIONE DEGLI ADULTI. LA SFIDA DI BOLSENA RICAMA. Intervista alla professoressa Maria Vittoria Ovidi clicca qui

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