“Cosa vuoi fare da grande? La sarta, rispondevo…” Peppina racconta

Piansano, 18 novembre 2016

“COSA VUOI FARE DA GRANDE? LA SARTA, RISPONDEVO…” PEPPINA RACCONTA. Apprendere dall’esperienza: un lungo e qualificato apprendistato per imparare a saper fare ...

Già da bambina  Peppina (Giuseppa Mezzetti) desiderava fare la sarta.  Ogni  esperienza di apprendistato  ha significato per lei  imparare il mestiere rubando  con gli occhi, sacrificando il tempo del gioco e del divertimento  all’apprendere pazientemente  a  “saper tenere  l’ago e il filo in mano … “.  Le competenze acquisite nel tempo  e la sua  serietà  nel lavoro le hanno permesso di costruire rapporti di fiducia e una clientela particolarmente affezionata …  Ascoltiamo  direttamente da lei  la storia  dei suoi  quarant’anni di attività a Piansano  …

Come e quando hai iniziato a prender in mano l’ago e il filo?

Sono nata a Piansano nel 1934. Dopo aver frequentato la quinta elementare – all’epoca non c’era  la possibilità di frequentare la scuola media- , all’età di undici  anni ho cominciato ad andare da una sarta. Era una mia vicina di casa, si chiamava Elide. Lei mi ha dato la possibilità  di imparare i primi rudimenti del mestiere. Quando si  entrava a bottega, la “sartoretta”, così veniva chiamata l’ apprendista, faceva un po’ di tutto… si iniziava con il punto soprammano, si proseguiva con le  imbastiture e con il  il punto lento. A questo punto era la sarta che “metteva su” il vestito, cioè finiva di confezionarlo e  lo passava a macchina. Una volta che la sarta  aveva terminato il suo lavoro, noi sartorette  eravamo incaricate di togliere le imbastiture, le spille  e tutto il resto..  Poi  si imparava a fare gli orli  e sottopunti. La sarta Elide  mi ha insegnato tutti i primi approcci alla tecnica del lavoro. Dopo qualche anno sono andata come apprendista da  un’altra sarta e con lei ho iniziato a cucire anche per la mia famiglia, camicette, gonne, vestaglie.

Già da bambina desideravo  fare la sarta e avevo molta voglia di imparare. Volevo “scoprire” i segreti del mestiere e perciò cercavo una brava maestra sarta. La sarta veniva chiamata Maestra dalle sue sartorette! Dopo i primi anni di apprendistato, avevo necessità di imparare non solo a cucire ma anche a specializzarmi nell’arte del taglio. Siamo alla fine degli anni ’40. In quel periodo a Piansano c’erano molte sarte, alcune erano specializzate nella sartoria maschile, altre in quella femminile. Non tutte però utilizzavano un metodo di taglio vero e proprio ma  “tagliavano ad occhio…” come si diceva all’epoca. C’era anche molta concorrenza e una certa rivalità tra le sarte del paese.

Fu allora che decisi  di continuare il mio apprendistato con la sarta Paolina che era tra le più stimate in quel momento e molto apprezzata per il Metodo di Taglio Ida Ferri.  Avevo 18 anni quando ho iniziato a frequentare la casa di Paolina e sono stata con lei due anni, prima di iniziare a lavorare in proprio. Paolina era molto meticolosa nel suo lavoro ed io avevo bisogno di perfezionare ciò che avevo imparato nei sei anni precedenti.

Parlaci della tua esperienza di apprendistato con la sarta Paolina…

La sua casa era la sua sartoria. Il tavolo della cucina era sempre pieno di stoffe, in un angolo una montagna di abiti da imbastire, passare a macchina, rifinire. Con lei ho perfezionato il mio stile. Eravamo sempre quattro o cinque ragazze a ritrovarci da lei. Era molto meticolosa. Era un piacere  osservare  il rovescio di un vestito confezionato da Paolina e ammirarne la precisione del lavoro fatto a mano….  Era conosciuta  ed apprezzata proprio per questa sua particolare abilità nel lavoro. Paolina è stata la prima sarta, a Piansano, ad aver frequentato una scuola di taglio riconosciuta e che rilasciava un titolo.  Era  perciò abilitata a lavorare con un Metodo di taglio qualificato e di qualità. Tutte le ragazze  del paese che intendevano non solo cucire per la propria famiglia  ma esercitare la professione di sarta,   hanno svolto  un periodo di apprendistato con Paolina, soprattutto per imparare il metodo del taglio.

Il primo passo per imparare il metodo Ida Ferri era “la base della bambolina” a partire dalle  misure del davanti, del dietro, della circonferenza vita, circonferenza fianchi…. Tutte le misure venivano ridotte ad un terzo  e  a partire da esse iniziavamo a preparare i cartamodelli. Paolina  ha insegnato il metodo Ida Ferri a tutte le sue sartorette  e per iniziare a sperimentarlo ci aiutava a tagliare e a cucire abiti per noi  e per la nostra famiglia.

Il suo insegnamento passava per una frase che ci ripeteva spesso: “è importante il colpo d’occhio. Se la sarta non ha il colpo d’occhio non ha niente”.

Ci invitava ad osservare come vestivano le persone,  “per  copiare il modello” dell’abito che indossavano.

Poi il talento doveva venire fuori imparando a personalizzare il modello sulle caratteristiche fisiche delle nostre clienti.

Ricordo che quando bisognava misurare e personalizzare alcuni abiti spesso mi chiedeva  di fare da mannequin .

DAL WEB

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Per saperne di più sul “modello della bambolina”  sfoglia …

il quaderno della scuola di taglio della Maestra sarta  Paolina Falesiedi  clicca qui

il quaderno della sartoretta Caterina Moscatelli clicca qui

il manuale L’arte del taglio di Ida Ferri clicca qui 

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Vi ispiravate a particolari  stili  o modelli?

La sarta Paolina confezionava abiti eleganti da donna e abiti da sposa.  Non  si cucivano pantaloni perché all’epoca, inizio anni ’50, da noi  le donne  indossavano solo le gonne. Ricordo che la maggior parte delle riviste che avevamo a disposizione  erano figurini francesi  come Moda chic e Vogue.

Non erano come quelli di oggi  che mettono a disposizione anche il cartamodello ma proponevano solo disegni.

Avete avuto  clienti che hanno dimostrato nei vostri confronti una particolare fiducia?

Tra le famiglie più in vista ricordo la famiglia De Simoni.

In occasione del matrimonio della “Sora Lidia” la sarta Paolina non confezionò il suo abito da sposa ma  buona parte della  biancheria  del corredo della sposa, in particolare i pigiami di seta  e le camicette.

E ancora la famiglia De Parri, con la quale ho continuato a lavorare anch’io per molti anni. Ancora oggi coltivo un’amicizia speciale con la signora Erina De Parri, conosciuta in paese come la maestra Mariella.  Vogue era la sua rivista preferita e molti abiti che ho confezionato per lei si ispiravano a modelli  che lei sceglieva direttamente dal periodico.

Un aneddoto può aiutare a capire il legame che ci unisce.

Nel 1983 ho confezionato l’abito da sposa di mia figlia Rita, in occasione del suo matrimonio.

Rita aveva scelto su un figurino un abito semplice decolté, impreziosito da balze in merletto e da un bolerino che copriva le spalle.

In quell’occasione la signora Erina si impegnò a procurarmi la stoffa per l’abito presso un negozio di stoffe particolarmente rinomato di Firenze. Lei lo frequentava spesso quando si recava a Firenze dalla figlia Rosalba. Fu proprio la figlia Rosalba  che ci consegnò il  rotolo di merletto.

Piansano 30 aprile 1962- Gli sposi Peppina e Lorenzo con le sartorette Francesca, Rina, Anna Maria, Elisa, Marisa, Cesarina, Maddalena, Valeria.

Hai confezionato anche il tuo abito da sposa?

A quei tempi non era ben augurante confezionare il proprio abito da sposa. Si diceva che portasse male, il matrimonio non sarebbe riuscito e allora si faceva cucire da altri! Nel mio caso  io scelsi il modello che avevo trovato su una foto, poi la sarta  Paolina  si occupò di tagliare l’abito e di coordinare le mie sartorette che invece lo confezionarono. Francesca, Rina, Anna Maria, Elisa, Marisa, Cesarina,  Maddalena,  Valeria, furono loro a cucire il mio abito da sposa e naturalmente furono loro a festeggiare con me il giorno del mio matrimonio!!!

Quanti anni hai lavorato come sarta?

Ho iniziato a lavorare agli inizi degli anni ’50 subito dopo il periodo di apprendistato con la sarta Paolina. Anch’io, come Paolina, ho confezionato diversi abiti da sposa e prevalentemente cucivo abiti da donna eleganti. Nel ’53 uno dei primi abiti da sposa che confezionai fu quello di mia sorella Milena. Era il 1953. Avevo 27 anni quando mi sono sposata. Era il 30 aprile 1962. Ho continuato a lavorare fino al 1983. L’ultima creazione  è stata l’abito da sposa di  mia figlia Rita. Ho lavorato per quarant’anni.

Quanto ore si lavorava al giorno?

Non c’erano orari. Si lavorava e questo era una necessità ma anche un privilegio.

Quali erano i periodi dell’anno  particolarmente impegnativi?

Durante l’anno c’era sempre  un po’ di lavoro. Un vestito si portata due o tre anni, il  cappotto” si girava”, cioè lo stesso capo si indossava  a rovescio, dopo aver rifatto le cuciture.  In ogni caso  il vestito nuovo,  “il vestito buono”  si  rinnovava per la festa della Madonna del Rosario”, a ottobre. Noi sarte iniziavamo a lavorare  ad agosto e settembre. Si lavorava anche di notte …  Occorreva soddisfare al meglio le clienti, che facilmente cambiavano sarta  in caso di ritardo nella consegna.  Era comunque un mondo molto competitivo.

Il nostro circolo di studio propone lo spazio intitolato Donne & Spose. Dopo averci parlato del tuo lavoro, puoi dirci qualcosa riguardo agli usi e ai costumi riguardanti il matrimonio  a Piansano negli anni ’50 e  inizi anni ’60, soprattutto rispetto ad alcune tradizioni ormai scomparse?

 Prevalentemente ci si sposava a settembre e a ottobre.  Le nozze venivano organizzate con più o meno sfarzo a seconda  di come era andato il raccolto o la vendemmia.  Ci si sposava anche nel periodo di carnevale o ad aprile.   A maggio non ci si sposava perché  si diceva che  portava male sposarsi nel mese in cui  “andavano in amore i somari “. Quando c’era difficoltà a reperire mezzi di trasporto privati, ci si sposava di notte, per avere la possibilità di partire per il viaggio di nozze utilizzando i mezzi pubblici. Si organizzava un rinfresco la sera precedente, poi alle quattro e mezza di mattina ci si sposava e alle cinque e mezza si partiva con il pullman che portava a Roma.  Non si celebravano matrimoni né il sabato né la domenica. Io mi sono sposata  il 30 aprile 1962 alle ore 11. Era un lunedì. Subito dopo abbiamo offerto il pranzo agli invitati a Piansano e subito dopo, nello stesso giorno ci hanno accompagnato con la macchina a Viterbo e da lì in pullman abbiamo proseguito per Roma. Era il sacerdote che aveva celebrato le nozze a  redigere  il certificato di matrimonio che sostituiva la carta d’identità che a quei tempi non c’era. Serviva per poter soggiornare in albergo. Solo se  coniugati si poteva  ottenere una camera.

Un ricordo particolare che caratterizzava la celebrazione della  cerimonia  del matrimonio?

Ancora oggi mi ritornano in mente le parole di un canto  a Maria che veniva intonato proprio in occasione della celebrazione del matrimonio…

A  te dolce Regina  si schiude il giovin cuore come fiore la mattina in un cantico d’amore… E speranza infinita o Vergine  all’inizio della vita…

E dopo la celebrazione del matrimonio  che cosa succedeva…?

Era tradizione che per una settimana dal giorno del matrimonio la sposa non dovesse farsi vedere in paese. Passati sette giorni, comunque la domenica successiva,  la coppia faceva “l’uscita” …  a passeggio per le vie del paese si recava in genere alla messa di mezzogiorno, la sposa vestita rigorosamente con abito nero o comunque scuro e lo sposo generalmente indossando l’abito utilizzato il giorno del matrimonio.