Storia di una piccola-grande sarta: mia madre (1917-2006)

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Storie di vita 1/

Testimonianza autobiografica scritta da Giuseppina Martinelli 

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“… così Ida Ferri fu l’ideatrice di una vera e propria “scuola romana” del cucito e opinion maker tra le donne. La ricordo, bella  con i suoi bianchissimi capelli, nella luminosa casa-lavoratorio di Via Volturno, vicino alla stazione Termini, sorridente e accogliente verso chiunque fosse interessato non solo ai corsi, ma a ogni forma di elevazione delle donne. Ida è risultata un’educatrice e una formatrice di quadri femminili, con molto fiuto per le giovani che avevano attitudine a loro volta a  diventare leader … “

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Nata a Piansano il 4 settembre 1917 da Giuseppe Falesiedi e da Ida Lesen, Paolina era l’ultima di sette figli (cinque morti poco dopo la nascita). Erano  sopravvissuti soltanto lei e il fratello Francesco, di cinque anni più grande.

Erano tempi di miseria, ma la famigliola (modestissimo allevatore di bovini il nonno, donna di casa tuttofare la nonna) sbarcava discretamente il lunario e viveva complessivamente una vita tranquilla.

La mamma ricordava la  sua prima infanzia come  una bella età  serena. In particolare mi parlava di suo padre come di un uomo forte e buono e, quando lo faceva, i suoi occhi diventavano immancabilmente lucidi. 

La situazione cambiò radicalmente con la morte del nonno. Era il 21 marzo 1925: mia madre aveva appena sette anni e lo zio Checco dodici.

 La nonna, di costituzione delicata e provata dalle  numerose e ravvicinate gravidanze, ancora giovane si ritrovò sola con due bambini da crescere.

 Allora non c’erano pensioni su cui poter contare e la mancanza dell’unica forza-lavoro della famiglia significava  un futuro di incertezze e privazioni. Per andare avanti occorreva risparmiare su tutto e avviare il prima possibile i figli al lavoro.

Lo zio Checco fu subito mandato a Maremma  a fare il garzone; mentre la mamma, dopo le elementari (in realtà frequentò solo fino alla quarta) fu spinta ad imparare il mestiere di sarta, considerato all’epoca utile e abbastanza redditizio, dato che tutti gli abiti venivano confezionati a mano.

La sua prima esperienza come apprendista-sarta (o“sartoretta”) non fu positiva.

La signora che doveva insegnarle il mestiere la faceva quasi esclusivamente ricamare. Quando poi la nonna andò a chiederle come si comportava la “sua” Paolina, le rispose che combinava poco: era disattenta e non faceva in tempo ad imparare una cosa che subito se la scordava.

 

Piansano, Via Nuova, o anche Via del Borgo, ribattezzata Via Umberto I dopo il regicidio del 1900.  L’edificio in primo piano a sinistra è il cosiddetto “palazzo della Castellanìa”,  ossia la residenza dei proprietari del latifondo susseguitisi nel tempo: il conte Cini di Roma, il Monte dei Paschi di Siena, la famiglia De Simoni di Piansano”. 

(da La Loggetta n. 81 di ott-dic 2009, a p. 5 – foto gentilmente concessa dalla redazione)

Figuratevi quando lo zio Checco (il fratello maggiore) lo seppe!! Furono rimproveri e…forse anche qualche sberla. La mamma allora  sbottò: – Dopo che mi fa solo ricamare….dice pure così! E scoppiò a piangere. La nonna capì e la portò subito da un’altra sarta

Lì finalmente mia madre iniziò ad imparare il mestiere che avrebbe fatto per tutta la vita.

Imparò a cucire i capi più semplici e a tagliare “a occhio” (cioè senza regole e misurazioni precise), come allora si usava.

Aveva diciassette anni quando la nonna le comprò (sicuramente a prezzo di chissà quanti e quali sacrifici) una macchina per cucire “Necchi” (indispensabile per poter lavorare).

In quel periodo fu chiamata in casa De Parri: le chiesero di aggiustare e tener in ordine i capi di alta sartoria della ricca famiglia (la più facoltosa del paese). Fu per la mamma un’occasione preziosa. Mi ha raccontato tante volte che, rigirando tra le mani quegli eleganti vestiti, mentre scuciva e ricuciva orli, pieghe  e merletti, ”rubava con gli occhi” (come diceva lei) e imparava.

Altra occasione preziosa fu l’organizzazione in paese della scuola di taglio “Ida Ferri”. Lei dovette fare la tessera del partito fascista per poter essere ammessa a frequentare quel corso. Ebbe  così  l’opportunità di imparare un valido metodo di lavoro, che da quel momento utilizzò sempre,   trasmettendolo  poi alle sue sartorette.

In seguito la mamma continuò a frequentare  il palazzo dei signori De Parri (che la stimavano e le affidavano ogni tanto i loro capi da ritoccare o perfezionare), ma soprattutto iniziò a fare veramente la sarta.

Il suo “atelier”, come quello delle altre sartine di paese, era la cucina di casa. Lì lei tagliava, cuciva, riceveva le persone, faceva provare gli abiti e – nei ritagli di tempo – aiutava la nonna a sbrigare le faccende  domestiche.

La sua clientela, all’inizio sicuramente scarsa e sporadica, divenne man mano sempre più numerosa e selezionata, segno che la sua serietà e la sua bravura venivano gradatamente riconosciute ed apprezzate. Altro indice dell’accresciuta considerazione della sua attività di sarta era il tipo di abiti che le venivano commissionati: non più solo vestiti semplici e di poco valore, ma anche capi più impegnativi ed importanti: soprabiti, giacche, cappotti, completi eleganti…ed infine abiti da sposa.

Paolina Falesiedi negli anni della giovinezza 

Questi ultimi erano forse – in quegli anni – il banco di prova fondamentale di una sarta e richiedevano non solo molto lavoro, ma anche (e forse soprattutto) creatività e passione. Alla mamma, a cui nel frattempo si era affiancato un certo numero di sartorette, ne furono ordinati parecchi.

Le sartorette (allora si usava così) imparavano da mia madre il mestiere e contemporaneamente collaboravano alla confezione degli abiti. Le più brave e affezionate facevano addirittura delle nottate insieme alla mamma per terminare i capi da consegnare urgentemente il giorno dopo.

Periodicamente mia madre organizzava per le sue sartorette dei corsi di taglio: erano l’occasione per insegnare e perpetuare il metodo Ida Ferri”, che tanta importanza aveva avuto nella sua formazione e nell’avviamento della sua attività.

Mia madre ha continuato a convivere con la nonna e a fare la sarta anche dopo il matrimonio (si sposò con mio padre il 29 settembre 1948).

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Quando ero bambina ricordo che la mia casa era sempre piena di gente. Ricordo il fermento e l’animazione durante la confezione degli abiti più importanti, mia madre  intenta instancabilmente a cucire e la nonna che vigilava e mi stava sempre vicina…

Ricordo in particolare alcune sartorette che mi facevano giocare e mi coccolavano.

Con il passare degli anni la mamma ha rallentato il ritmo della sua attività finché…., eccettuata qualche cliente alla quale – come diceva lei – non poteva dire di no, ha smesso del tutto. E’ rimasta però sempre la “mia” sarta.

Quando andavo a scuola a Viterbo, ogni tanto, passando per il Corso, copiavo rapidamente dalle vetrine qualche modello e poi lo portavo a mia madre, che con bravura e pazienza infinita me lo realizzava.

Il vestito più importante che ha  confezionato per me è stato l’abito da sposa:  un regalo prezioso e un ricordo carissimo  non solo di un giorno indimenticabile ma anche di  una mamma “speciale”.

la copertina del Manuale “Scuola di taglio- Metodo Ida Ferri” appartenuto alla sarta Paolina  

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                      La copertina del quaderno personale di Paolina Falesiedi utilizzato durante la frequenza del corso di taglio Ida Ferri

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Il vestito più importante che ha  confezionato per me è stato l’abito da sposa:  un regalo prezioso e un ricordo carissimo  non solo di un giorno indimenticabile ma anche di  una mamma “speciale”.

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Nella foto Giuseppina Martinelli  nel giorno del suo matrimonio celebrato  nella Chiesa Nuova di Piansano il 29 dicembre 1973

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